Strip
serie
837, 21/10/2017 - Oceano di luce
837
21 . 10 . 2017

Provini

“Oh my God! It's full of stars!” potrebbe esclamare il nostro Bob nella strip odierna, se solo fosse avvelenato di cultura cinematografica quanto lo sono i suoi autori. Ma no, lui è troppo occupato a farsi i selfie: spregevole Bob.
Ad ogni modo sarà bene che oggi ci prendiamo una pausa dalla cinematografia che ha regnato le scorse settimane, e diamo nuovamente spazio ai videogiochi.

No, scherzavo: dopotutto è uscito un filmato pubblicitario di Guerre Stellari: L'Ottavo Episodio.
Se avete addosso abbastanza vecchiaia da ricordare quando i trailer dei film si chiamavano provini, probabilmente disprezzate l'isteria collettiva che scatenano oggi queste pubblicità: di fatto i trailer odierni sono una forma d'arte parallela al Cinema, con le sue regole.
La prima regola è catturare l'attenzione, e in questa civiltà sommersa dall'Informazione è un compito sempre più arduo: da qui il ricorso a trucchi bassi e meschini, come condensare un montaggio forsennato nei primi 5 secondi (il trailer del trailer!), oppure farci un riassunto dell'intera trama in 2 minuti e mezzo.
Trovo tristissimo che perfino un film come l'ottavo film di Guerre Stellari debba ricorrere a simili mezzucci.

Siete tutti dei maledetti cagnacci.
Da parte mia cerco sempre più spesso di schivare le notizie sui film prima di vederli, trovo che sia meglio così, sia che il film si riveli bello oppure brutto. Figuriamoci con un'opera che mi coinvolge emotivamente così tanto come Guerre Stellari.
Un altro spregevole mezzuccio che hanno usato per promuovere un film tanto sacro è il design dei poster.
I poster e tutto il materiale promozionale legato all'Episodio VIII sono caratterizzati da un design omogeneo dalle regole ferree: solo bianco, nero e soprattutto rosso.
Siete tutti dei maledetti cagnacci.
Ma vi pare che un film SACRO (lo ripeto) come questo abbia bisogno di costruirsi attorno un linguaggio di design particolare? Guerre Stellari appartiene da 40 anni alla cultura popolare, che se ne è appropriata in tutte le forme e in tutti i gusti: e poi nel 2017 arriva un dannato cane di Disney appena uscito dall'accademia delle belle arti e pretende di imporci un colore dominante per identificare l'ottavo episodio?

Ma io ti strangolo con la Forza, miserabile impertinente!

Episodio VIII, come tutti gli altri, deve essere un soggetto ritratto in tutti gli stili e con tutte le sensibilità, a cui tutti gli artisti del mondo tributano il loro omaggio.
No poster tutti rossi. Cani.

Lo-Rez: arte, storia, web design
21 . 10 . 2017

Everything you want to see

Probabilmente la scelta di affidare a Denis Villeneuve la regia di questo Blade Runner 2049 è stata la miglior possibile. Io non sono uno dei più accesi fan di Arrival, ma Villeneuve con Arrival ha fatto vedere di essere capace di cercare l'immagine, nel cinema di fantascienza, senza necessariamente farla degenerare in effettaccio. Ha dimostrato quella sensibilità propria dei decenni passati di comporre la visione non per stupire in modo violento, ma per sedurre, per aprire l'immaginazione. Tutto ciò è necessario per affrontare un film come Blade Runner. (da qui in poi sappiate che capiteranno degli spoiler)

Ha ragione Lo-Rez, quando non molte settimane fa elogiava l'immagine di questa nuova pellicola. Blade Runner 2049 è un film fortemente visivo, sontuosamente visivo (e auditivo) che indugia in questo mondo futuro-nonfuturo straniante, estremamente vivo, capace di trascinare le persone dentro di sé, un mondo che invita a muovarsi per i suoi vicoli stretti, affollati di gente, un mondo che schiaccia con le sue architetture ciclopiche, oltreumane, così grottescamente contrapposte agli spazi vuoti delle terre desolate e abbandonate dalla vita. In pura continuità con l'opera originale, Villeneuve utilizza la storia frammentata, spezzata dell'agente K per aprire uno squarcio sul futuro desolante della razza umana, in cui tutti cercano qualcosa di reale, anche se ciò che è più reale è l'ologramma di una procace ragazza che ti dice "ti amo". Un futuro in cui, per fortuna, la ATARI è ancora una delle corporazioni più potenti del mondo.

Per certi versi, questo Blade Runner 2049 è il film che Scott non era riuscito a fare negli anni 80. Il suo protagonista è un replicante cacciatore di replicanti, la sua natura gli è nota e gli viene sbattuta in faccia da più parti. Eppure anche lui deve interrogarsi sui suoi ricordi, sulla sua esistenza, sul suo passato. Anche lui si ritrova a chiedersi cosa sia reale e cosa abbia il diritto di desiderare e volere. Decade, completamente, il discorso della data di scadenza dei replicanti, non sappiamo perché, ma rimane il principio più profondamente dickiano della loro esistenza, ovvero la loro profonda umanità, la loro capacità di essere a un solo passo dall'umano eppure non esserlo veramente, in un'ambiguità esistenziale (e quasi gestaltica) che ce li fa apparire folli o sull'orlo della follia. Per quanto l'interrogativo sulla natura di Deckard abbia tenuto banco per trent'anni (e questo film abbia ben deciso di non risolverlo) è indubbio che nel lontano 82 fosse il confronto tra lui e Batty a generare la tensione basata sul significato di umanità. Qui invece tutto si esplicita in modo più intimo all'interno degli stessi personaggi. Il povero Joe/K forse è l'ennesimo eletto del cinema di cui non sentivamo il bisogno, ma poi sul finale si riscopre per quello che ha sempre saputo di essere, ovvero una copia, un prodotto, un essere senz'anima e, nonostante questo, riesce a fare ciò che di più umano gli era possibile, anzi, riesce persino a superarlo, salvando nuovamente Deckard in fin di vita e poi nuovamente spirando dopo avergli aperto un nuovo futuro, così come già un Nexus 6 platinato con la passione per le colombe aveva già avuto modo di fare trent'anni prima. E forse in modo più subdolo, cerca la sua umanità anche Joy, un prodotto olografico agghiacciantemente simile a certi oggetti che si trovano realmente sul mercato oggi, un'intelligenza artificiale pura priva dell'inganno della carne artificiale, ma che nelle sue interazioni cerca di superare la bambola ammiccante che la rappresenta negli ologrammi pubblicitari.
Sempre per vedere in questo BR2049 i corsi e ricorsi della storia, mi ha emozionato lo scenario di Las Vegas spazzata dalle radiazioni, il mondo rosso e desolato che è quello che emerge dal libro di Dick e che Scott, pur creando altre mastodontiche immagini, aveva lasciato indietro. Blade Runnr 2049 è anche esplorare tutti gli spazi feriti e abbandonati di un pianeta Terra sul limite del soffocamento che, anche per questioni di budget, non ci hanno fatto visitare per tanti anni, ma che necessariamente c'erano, a corona di una città dove tutto finiva per ripiegarsi su sé stesso al limite della claustrofobia.

E' difficile, però, parlare di emozioni in riferimento a questo film. Ormai il gioco di rivedere in prodotti moderni la mitologia del mio passato non funziona più. Tanti ruffiani, tante meretrici, tanti mercanti senz'anima hanno sfruttato questi meccanismi, molto spesso per becero interesse e alla fine sono divenuto insensibile. Ho vissuto questo Blade Runne 2049 come una specie di eco, come un continuo riferirsi nostalgico a qualcosa che è stato, come ritornare, da maturo, nei luoghi di una meravigliosa estate adolescenziale. Gli stessi profumi, gli stessi suoni, le stesse sensazioni eppure, nel mio intimo, sentire che nulla di tutto quello era più per me, perché quello che doveva essere era già stato e che per quanto il luogo fosse ancora bellissimo e ricco di promesse io avevo esaurito il mio tempo di viverlo. Ho sempre, istintivamente, mantenuto un certo distacco, una certa incapacità di farmi coinvolgere, una certa reticenza al farmi sommergere. Non perché il film avesse qualcosa di sbagliato che me lo impedisse, ma perché io non sentivo più il motivo per farlo, perché anche se lo avessi fatto mi sarei sentito più giovane e entusiasta, ma senza esserlo davvero.
Mi incuriosisce pensare a come le nuove generazioni possano prendere questo prodotto. Mi chiedo se potranno mai vederlo tralasciando l'originale (in realtà è possibile farlo, per certi versi), mi interrogo su cosa dica loro quel futuro che in parte non si è realizzato, in parte è reale presente, in parte è un sogno eterno che non verrà mai intrappolato nel tempo. Io oggi, giocoforza, ho molte risposte strettamente personali ad alcuni dei quesiti che Blade Runner poneva e che questo Blade Runner 2049 pone ancor'oggi. Ma questi non sono film che se ne facciano niente delle risposte. Questi sono film in cui le domande devono lasciarti da solo, sotto la pioggia, appeso a un cornicione. Nell'attesa che qualcuno venga a salvarti. Qualcuno di umano? Qualcuno di non umano? E' veramente importante?

“4 symbols make a man: A, T, G and C. I am only two: 1 and 0.”

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