Chiaroscuro
Bisogna andarci piano, a fare i complimenti ai francesi.
Anche quando se li meritano (e capita assai di rado!), è un attimo che si gonfino come palloncini e volino via... Noialtri qui abbiamo sempre scongiurato questo pericolo, sfoggiando un radicato disprezzo verso la Fabbrica dei Francesi per eccellenza, quella Ubisoft che impiega un ventimila dipendenti in realtà sparsi in tutto il mondo. Il Lettore giovinetto, che non ci segue da tutti i nostri ventiquattro anni di servizio, se esiste, potrebbe magari crogiolarsi nel nostro ultimo editoriale al vetriolo contro i giochi brutti Ubisoft e da lì partire per un lungo viaggio attraverso le epoche.
E però non tutti i francesi sono stati messi al mondo per il nostro cruccio. Alcuni di loro ci hanno appena aperto il cuore con un giochino davvero notevole. Ma dicevamo che bisogna andarci piano, con 'sti francesi, e abbiamo dunque atteso qualche settimana prima di aggiungere la nostra rosa ai piedi del monumento di Clair Obscur: Expedition 33.
Ma una rosellina piccola.
Anche perché è rimasto poco posto: la stampa specializzata e ancor più i giocatori hanno reso omaggio a questo giochino francese come fosse la nuova venuta di un Redentore dei JRPG, dei giochi a turni, di... Final Fantasy (!).
Tutte queste lodi mi imbarazzano: dovrei condividerle, io che sono composto al 70% da Final Fantasy VII? Io che serbo ancora scolpite nella memoria le due ore iniziali di Final Fantasy X come una delle grandi epifanie della mia esistenza... e che in verità faccio fatica a trovare un minuto qualunque di un Final Fantasy qualunque che mi abbia lasciato un brutto ricordo.
Dovrei condividerle, perché questo giochino francese è davvero Final Fantasy X redivivo, e si ispira pedissequamente a Lost Odyssey in primis, e poi a Super Mario RPG e a tanti grandi del passato. Ma solo del passato! Perché l'ispirazione si è fermata alla soglia degli anni '10, quando per molti il genere ha smarrito la via.
Dovrei apprezzare la storia e la direzione artistica originale e i turni e l'impostazione di gioco che mi calza come un guanto, mi fa sentire subito a casa, mi riporta con la memoria al mio posto felice.
Ma sì, sì: Clair Obscur è un gioco con tutte le cosine al posto giusto. Piace perché parla il linguaggio del suo pubblico, e questo perché i suoi autori fanno parte di quel pubblico, e hanno avuto l'audacia imprenditoriale di mettersi in proprio per liberarsi dalle ingerenze opprimenti di un Comitato di adoratori di Mammona capaci di ragionare solo in termini di Prodotto.
Una bella favola.
E se poi quegli adoratori di Mammona nello specifico erano Ubisoft, sai che soddisfazione! È quasi troppo bello per essere vero... ehm. Vero lo è, ma bisogna esser disposti a chiudere un occhio su certi dettagli.
Solo che io, che dal fondo di questa tana di coniglio mi diletto a disprezzare tutto e tutti, “ormai dotato di esistenza solo negli scritti, e sempre intento a formulare sentenze che hanno il tono remoto delle parole supreme”, voglio mettere un ditino cattivo proprio in quei dettagli scomodi.
Primo: l'arte non mi piace. Questi modelli sono super-deformed senza essere anime: impossibile non notare quei testoni. E i chara-design mi paiono scialbi: se vuoi fare quattro protagonisti umani in uniformi nere, o sei Tetsuya Nomura (lo sciampista delle dive!) oppure ti verrà fuori una robetta un po' meh. E i mostri sono peggio ancora. Questione di gusti, lo so.
Secondo: se avete quindici anni e questo è il primo videogioco a turni della vostra giovane vita, benissimo. Clair Obscur vi ha spalmato il fango sugli occhi, e ve li ha aperti alla vera vista: non è nulla di meno di un miracolo.
Se però avete abbastanza anni sul groppone da aver giocato tutti i titoli venuti prima di Clair Obscur, cioé i giganti sulle cui spalle questo giochetto si è arrampicato per raggiungere la vetta... allora forse vi resterà un po' di amarezza in fondo al cuore, perché questo giochetto è se stesso e non è loro.
Non potrà mai essere loro.
È ingiusto e irrealistico pretenderlo.
Però... Questi giovani francesi scapestrati lottano dalla parte del Bene, e si sono scelti i maestri giusti. Sakaguchi e Uematsu e Amano sono lassù e li guardano benevoli dall'alto dei cieli. Ma pensate che bellezza, se questo fosse solo l'inizio di un'avventura tutta loro. Se riuscissero, la prossima volta, a superare davvero i loro maestri.
Dal profondo del cuore
Vivy è una delle prime intelligenze artificiali autonome lasciate andare per il mondo a vivere la sua vita. Come tutte le IA ha bisogno di uno scopo e, forse con un po' di cattiveria, i suoi creatori gliene hanno dato uno incredibilmente complicato: rendere felice la gente cantando dal profondo del suo cuore. Ora, per cantare un'intelligenza artificiale può ben imparare a farlo, può anche registrare un database con tutte le mossette che fanno le idol su palco, ma cos'è un cuore? Come si fa a trarre qualcosa dalla sua profondità? Mentre sta interrogandosi su questo problema (che è complicato per noi, figurarsi per un androide), l'intelligenza artificiale Matsumoto compare dal futuro e le da un'altro compito piuttosto complicato: impedire che le macchine distruggano l'umanità.
Chissà perché tutte le volte che si parla di rivolta delle intelligenze artificiali poi serve un viaggio nel tempo per sistemare le cose. L'intuizione era fresca e interessante ai tempi di terminator, ma oggi è diventata una strana coincidenza in tanti lavori. In "Vivy - Fluorite Eyes Song" in realtà noi viaggeremo solo nella direzione in cui siamo abituati, ovvero in avanti, ma per ben 100 anni, con ogni episodio (o storyarch) che ci vedrà fare un lungo salto temporale in cui usualmente la protagonista e il suo pigmalione Matsumoto si perdono di vista (se non peggio). Il risultato è che il progetto Singularity è una lotta contro un destino di distruzione che pare già scritto, ma è anche il percorso con cui Vivy (o Diva) scopre cosa è veramente il cuore, arrivando dall'essere un robot sciapo e legnoso poco credibile a una vera cantante capace di trascinare le folle. E, paradossalmente, questa conquista finisce con l'essere preziosa per l'intera umanità.
Tirando fuori il mio consueto Liet-motiv, Vivy è un'ottima storia di fantascienza tout-court, perché si interroga su problemi molto grossi, si confronta con temi importanti e riesce a utilizzare i vari elementi fantastici della storia in modo ricco e pieno, senza che sembrino solo ammenicoli per incuriosire lo spettatore. E' una storia che ha del coraggio, nel decidere di stendersi su un secolo, rivoluzionando quindi il suo comparto personaggi praticamente ogni due episodi eppure lasciato tutto strettamente connesso, senza mai interrompere l'empatia che si prova per i personaggi, la protagonista in primis.
La storia di Vivy è così interessante che, in certi momenti, si ha addirittura l'impressione che abbia subito dei brutti tagli e che avrebbe meritato quattro o cinque episodi in più per esporre certe cose con un po' più di completezza. Nel secondo episodio c'è uno scatto di trama importante che è reso drasticamente in tre scene, con un effetto estramente drammatico, ma probabilmente la narrazione avrebbe funzionato meglio come un episodio a sé. In altri punti certe informazioni vengono consegnate in modo didascalico, come se fosse stato necessario inserirle, ma non ci fosse stato il tempo per raccontarle.
Un altro elemento di terribile, fastidiosa velocità e la parlantina di Matsumoto. Il personaggio è reso volutamente insopportabile, ma quando parla potreste aver fatica a seguirlo, se dovete leggere i sottotitoli (che in questo caso poi, Crunchyroll non rende disponibili in italiano). E' un altro tipo di problema, però è incredibile come in certi punti l'abbia trovato fisicamente stressante.
Tecnicamente Vivy è il tipico anime dalla Aniplex: bellissimi colori caramella vivissimi mentre la tragedia e la morte si estende sotto di noi. A parte gli scherzi è visivamente sgargiante, con un disegno che non ho amato moltissimo, ma che rende bene, pure nelle non frequentissime sequenze d'azione. Alla fine, strutturalmente, è un anime che gira tutto intorno alla figura di Vivy e il modo in cui è resa la sua presa di coscienza di sé stessa è molto efficace.
Sulle canzoni dell'anime sono rimasto per tutto il tempo freddino. Essendo lei una idol, capita molto spesso che la opening sia sostituita da una esibizione di Vivy e, più in generale, esiste un vero e proprio repertorio musicale legato all'anime. Repertorio che però, ahimé, non fa granché per rimanere impresso con del JPOP estremamente basilare che cerca di non rendersi mai protagonista. Forse un'occasione sprecata, forse proprio l'uso di un genere che non riesce a sfondare la porta del mio cuore.
Vivy - Flourite Eye's Song è molto consigliato. E' bellissimo il modo come la psicologia interna della protagonista e la sua quest nel cercare cosa significhi avere un cuore si intrecci con la trama principale sulla salvezza del mondo e dia a quest'ultima una ricchezza che difficile avrebbe avuto da sola, proprio perché è una storia che ci siamo già sentiti raccontare infinite volte. Gli amanti della fantascienza e dell'esplorazione dei temi dell'intelligenza artificiale penso che lo apprezzeranno moltissimo, gli altri possono godersi comunque una vicenda di buon ritmo, che nei suoi tredici episodi dice tutto quello che ha da dire e finisce in maniera soddisfacente. A guardar bene vengono fuori anche un paio di piantini.
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