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serie
1148, 27/01/2023 - Link su OnlyFan
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27 . 01 . 2024

Ricchezza infinita

Prosegue la Saga di Twitch iniziata settimana scorsa (ma in realtà è un male che ha radici lontane).

Ognuno si arrangia come può, grattando via da questo brutto mondo quel poco di sollievo che può, dove può. Non giudicheremo Link, né i suoi spettatori, né tutti i Link e le Link nel Mondo Reale™... ma questo brulicante sottobosco di chiaroscuro morale, di miseria umana, di relazioni malate parasociali, di solitudini, è stato ritratto magistralmente dalla serie Yakuza Like A Dragon, e oggi che guardacaso è uscito il nuovo gioco mi sembra l'occasione giusta per parlarne.
Non ho mai giocato al simulatore di mafia giapponese fino al titolo precedente, quello che ha segnato l'inizio di un nuovo corso per la serie. Ma nella notte dei tempi, prima ancora di questo sito (!!!) mi procurai una SEGA Dreamcast per giocare a Shenmue, e la mia fascinazione per quel videogioco seminale è apparsa più volte nelle prime puntate di FTR, quelle rarissime in doppia cifra che oggi sono ambite dai collezionisti in ogni dove.
Yakuza è nato come lo Specchio Oscuro di Shenmue, un open-world ad ambientazione realistica quando ancora non si sapeva bene cos'erano gli “open-world”, e le ambientazioni realistiche erano una rarità. Ma invece di un bravo ragazzo che ubbidisce alla nonna e torna in tempo per cena, i protagonisti di Yakuza sono ragazzacci truci che si muovono tra hostess-bar e sale da pachinko, che escono di casa praticamente quando il buon Ryu se ne va a nanna.

E fin qui nulla di particolarmente rilevante. Giocare ai criminali non è certo una novità. Criminali moralmente ambigui: già visto. Ragazzacci dal cuore d'oro: già visto. Ma Yakuza ha conquistato prima la mia curiosità, poi il mio interesse, e poi il mio cuore, quando in Like A Dragon ci ha costretto a dare uno sguardo prolungato e intimo alla schiuma dell'umanità derelitta.
Restano i personaggi tragici che amano e odiano più di noi, capaci di passioni che infiammano di riflesso una città intera... solo che in Like A Dragon partono da origini umilissime. Like A Dragon (e anche questo nuovo Infinite Wealth) ci ha messo nei panni di un quarantenne.
Un quarantenne! Per gli standard delle storie giapponesi, praticamente un morto che cammina!
E non solo: ma pure un quarantenne sprovveduto, entrato in galera a vent'anni quando i telefoni cellulari erano delle mattonelle Nokia e internet quasi non esisteva, e uscito nel mondo odierno. Attorno a lui, comprimari scelti tra i rifiuti della società: poliziotti cinquantenni licenziati prima della pensione, padri di famiglia divenuti senzatetto, disoccupate tabagiste e alcolizzate... le fasce deboli della società, la spazzatura sgradevole che si ammucchia agli angoli delle strade, ignorata da tutti.
Frequentatori di uffici di collocamento scalcinati, abitatori di baracche di cartone lungo il marciapiede, brutti e sporchi e rimbalzati da un assistente sociale all'altro.

Non è uno scenario esplorato spesso dai videogiochi. Certo anche GTA tocca di striscio temi simili, ma l'ambientazione giapponese di Yakuza moltiplica per mille bizzarrie e melodrammi.
E dunque il trittico composto da Like A Dragon prima, dal breve intermezzo di The Man Who Erased His Name, e ora da Infinite Wealth mi ha conquistato.
Like A Dragon 8: Infinite Wealth appare dunque come un gioco smisurato, una olla podrìda rabelesiana brulicante di innumerevoli sistemi di gioco. Un contenitore senza fondo di sottotrame, sottogiochi, minigiochi che da soli possono impegnare centinaia di ore: la maggior parte sono una glorificazione dello spirito imprenditoriale come via per il riscatto, ma senza mai dimenticare l'empatia per tutti quanti, dai reietti ai boss malvagi.
Purtroppo io non posseggo tempo infinito, e dunque non so se e quando mi imbarcherò nell'impresa. Ma questo naturalmente non mi ha mai trattenuto dall'amare un gioco.

“Si divertirebbe molto in questa città un uomo dotato del potere di vedere le menzogne, come gli scozzesi con i fantasmi.”

Lo-Rez: arte, storia, web design
27 . 01 . 2024

Fired. Exclamation mark

Non sappiamo su che social sia veramente Link e soprattutto su che social legga sempre tutti quei commenti caustici che poi lo spingono a sfogarsi con Cloud. Non è in realtà importante, tutti i social network tirano fuori il peggio delle persone e diventano facilmente enormi arene in cui triturare il prossimo. Siamo assolutamente convinti che Link abbia fatto i suoi passi falsi nella sua vita lavorativa, almeno dal momento in cui si è messo in società con Cloud, però siamo anche certi che non si merita tutto quello che gli hanno tirato addosso. Nessuno se lo merita. No, dai, una listina di gente che si merita certi insulti ce l'ho. Ma la terrò per me.

Ci sono sicuramente tanti videogiochi usciti o che devono uscire di cui sarebbe bene parlare, ma oggi ci fermiamo un momento a parlare dei videogiochi in senso generale, ovvero dell'industry e di quello che sta succedendo negli ultimi tempi.
Una volta ai videogiochi lavoravano poche persone che però portavano a casa tanti soldi. Quelle che oggi sono le dimensioni di uno studio che giudicheremo indie erano le dimensioni di una software house che buttava fuori un triplaA. Certo, ai tempi i triplaA guadagnavano una frazione di quello che i triplaA guadagnano oggi, ma i soldi andavano tutti a quella gente lì, che se li spartiva e, per contarli più facilmente, li convertiva in auto sportive. Erano tutte parabole di garage band (informatiche) che amavamo molto anche per quel senso pionieristico da self-made man che eccitava il nostro lato più capitalistico, diciamo.
Che una roba del genere non potesse durare lo sapevamo, non sono qui per la consueta sparata nostalgica, quello che è successo è che l'industria ha continuato a espandersi, i soldi hanno continuato ad aumentare, di conseguenza le persone che hanno cominciato a lavorare per i videogiochi sono diventate tante. Questo significa che lavorare per i videogiochi è diventato un lavoro come un altro perché quando c'è così tanto personale significa che un po' il personale si riduce a qualcuno che fa un task, non riesce più a godere appieno la natura ludica del suo obiettivo. Si, tutta la gente che lavora oggi nei videogiochi sono semplicemente degli informatici e non sono diversi da Neo e Godel, con le loro nevrosi, i loro meeting noiosi e le loro riunioni infinite in cui si parla di nulla. Quando abbiamo iniziato Job, millenni fa, non abbiamo mai pensato che l'azienda di Neo e Godel doveva essere un'azienda di videogiochi perché ci consideravamo cresciuti e non avevamo più bisogno di lavorare per i videogiochi. Oggi che il loro posto di lavoro sia o non sia legato al videoludo è indifferente. L'industria è diventata adulta (uno dei miei liet motiv).

Ma i colletti bianchi, come si assumono, si licenziano e questa sembra essere un'epoca di licenziamenti e tagli al personale. L'articolo che ho linkato in realtà è saturo di temi interessanti al di là di questo trend che però è esteso a molte altre aziende. Per esempio, parlando di Microsoft, che ci siano tagli a seguito dell'acquisizione Activision Blizzard è quasi fisiologico, quindi se avessimo solo questa notizia qui potremmo anche pensare che non ci sia qualcosa di più esteso in ballo. Giusto qui rimarcare che la malattia è estesa e i sintomi vengono da più parti.
Le parole di Ismail però evidenziano anche una di quelle malattie del mondo reale che non nasce certo nell'industria del videoludo, ma sicuramente ci si è trovata bene, per quel clima mai abbastanza denunciato di adolescenti che fanno finta di non lavorare sul serio e crunching esasperato. I lavoratori del mondo del videoludo sono diventati tanti e lo sono diventati in fretta, legando il loro futuro professionale a progetti che sono diventati estremamente lunghi e paradossalmente anche precari, con una situazione contrattuale aleatoria. Le categorie dove questa tendenza è estesa sono sempre di più al mondo, soprattutto nei lavori nuovi e sappiamo bene cosa significa quando giungono i tempi di vacche magre e ci si trova nelle condizioni opposte rispetto a quelle che hanno fatto sembrare tutto ragionevole.

Le vacche magre nel mondo del videoludo sono arrivate perché, in certi termini, i grandi capitani d'industria del settore hanno sbagliato tutto. Hanno creduto che dovessero esistere solo i videogiochi enormi, triplaA e che in loro presenza la gente avrebbe sistematicamente sborsato quantità enormi di denaro. Hanno quindi deciso che potevano anche produrli con tempi lunghissimi e risultati aleatori, continuando a chiamare gente per poter varare abbastanza giochi con una cadenza tale da mantenere sano il flusso di cassa. Hanno pensato veramente che non dovesse esserci un fermo nei costi, nella qualità, nelle strategie, tenendo in piedi a volte solo il loro buon nome pubblicando trailer fittizi e facendo girare notizie in rete, ma senza avere, di fatto, una filiera di produzione razionale. Intanto, le rivoluzioi copernicane del mercato, l'isteria collettiva o anche solo la modifica delle abitudini della gente e delle generazioni hanno continuato a irrorare questa gente di soldi tanto da convincerli che stessero facendo la cosa giusta.
Oggi vediamo progetti che si sono dilungati troppo e sono usciti zoppi, progetti che nonostante abbiano avuto secoli per essere sviluppati sono usciti frettolosi e senza test, progetti tutti uguali per minimizzare i rischi. Poi esce un rip-off di Pokemon con le pistole e fa il botto solo perché ha rubato i pokemon e gli ha messo le pistole, anche se vale meno di altri progetti che magari sono stati fatti meglio, ma non si è creduto in loro dandogli un lancio mirato.
E mettetecelo anche questo valzer dato dal turn-over di professionisti che non sanno mai per quanto potranno lavorare per un'azienda e quanto la loro professionalità verrà valorizzata perché tanto non ci vuole niente a cambiarli con qualcun'altro o magari, apriti cielo, con una IA.

Non è mai bello quando un settore entra in crisi. Il problema non è tanto "avremo meno videogiochi" perché non è vero, non possono uscirne meno per ragioni fisiologiche, però la gente licenziata è gente licenziata anche quando si occupava di disegnare in 3D le corna di un demone. Però la speranza è che il mondo dei videogiochi cambi un po' pelle, cerchi un nuovo punto di equilibrio, si assesti su nuove dimensioni. Come l'altra volta ho segnalato Prince of Persia, oggi vi segnalo Stargate: Timekeepers. Sapete che amo Stargate e alla fine sono anche un po' affezionato agli stealth RTS. Ci troviamo di fronte di nuovo a un piccolo gioco, di fascia media, che può farvi soddisfazioni senza bisogno di essere il videogioco definitivo. Lo ripeto una volta di più: ripartiamo da qui.

- She's a truck. Treat her like a horse, not a kitten. And you're Italian, drive like one.
- What does that mean?
- Green means go, Amber means accelerate, red means accelerate and honk your horn.

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