Strip
serie
818, 27/05/2017 - Dopo 28 anni
818
27 . 05 . 2017

La coscienza di un uomo

Gli angeli versano una lacrimuccia quando succedono cose brutte come in questa strip: la perdita dell'innocenza, la corruzione dei giusti, il sacrificio della virtù...!
Il nostro Stagista Vietnamita (cioé non proprio nostro, ma di Gödel nel fumetto, beninteso) era un giovine di belle speranze, mente aperta, volenteroso e ricettivo: poi ha conosciuto il lavoro, quello vero, che gli ha frantumato l'anima. Lo abbiamo incontrato solo un paio di mesi fa, un nonnulla per questo fumetto più che quindicinale, ma a quanto pare sono bastati per devastare tutte le sue buone intenzioni. Si comincia con un compromesso, come nella strip odierna, di quelli che avevi giurato non avresti mai fatto, perché non volevi ripetere gli errori dei tuoi predecessori... e si finisce in breve sulla via della perdizione senza ritorno.

Tommaso Moro diceva che un uomo tiene la sua coscienza come acqua tra le dita serrate: basta allentarle anche solo un pochettino, e splash.
La morale di oggi quindi, piccoli stagisti vietnamiti, è: ricordatevi di fare sempre i test, e non cedete alla tentazione di buttare tutto subito in produzione.

Bene, ora che ci siamo sgravati la coscienza con un messaggio edificante, possiamo proseguire. Non si dica che FTR non è un sito educativo!
Si parlava la settimana scorsa di Cinema, anzi di “cinema” con la minuscola, per adeguarci alla modestia delle produzioni contemporanee. Ebbene, se come me avete il culto della persona di Hideo Kojima non vi sarà sfuggito che da diverso tempo ormai il genio nipponico ha iniziato a scrivere degli articoletti per le riviste di cinema. O almeno a dettarli, visto che non penso proprio che Kojima padroneggi la lingua inglese abbastanza da scriverseli da solo. Ma comunque! Il suo pensiero in fatto di cinema già di per sé è assai degno di stima, ma a maggior ragione ora che si fanno insistenti le voci su un film di Metal Gear Solid.
Il regista a quanto pare sarà quel pazzo barbuto che ha diretto KONG: SKULL ISLAND (questo sì tutto maiuscolo), e che da diverso tempo vediamo ritratto in numerose fotografie a braccetto con Kojima, mentre ridono e scherzano da grandi amiconi.
Ora, dati i precedenti film derivati da videogiochi c'é di che essere terrorizzati, però devo dire che questo progetto parte sotto i migliori auspici: nell'intervista che ha rilasciato a proposito, il nostro nuovo regista preferito, giovanotto della nostra stessa generazione, dichiara un'insana e morbosa ossessione per Metal Gear.
La situazione del marchio Metal Gear, si sa, è assai triste: la malvagia Konami lo ha rapito strappandolo al suo amorevole padre, dunque ufficialmente Kojima non c'entra un bel nulla con un eventuale film. Però io sono sicuro che i nostri eroi, anche in virtù del sodalizio che lega le loro anime, troveranno un modo per aggirare i cavilli legali, e anche solo davanti a una birra analcolica in un pub di Amsterdam il buon Kojima potrà dispensare i suoi consigli e le sue raccomandazioni, e il suo giovane discepolo gamer e hipster Vogt-Roberts prenderà nota attentamente.
Di più non ci è dato sperare.

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27 . 05 . 2017

L'importante è sbavare

Prometheus è stato un film tra i più contrastati degli ultimi anni, tanto da diventare un meme. Al di là della strenua difesa di Leo Ortolani, anche io ho sempre dichiarato quanto mi fosse piaciuto con tutti i suoi difetti. Mi pongo quindi nei confronti di Alien: Coventant in maniera un po' discosta da come probabilmente le masse si sono presentate in sala.
Sia quel che sia, però, Covenant rispetto a Prometheus ha due vantaggi: innanzitutto non è caricato delle aspettative proprie di una pellicola che deve riprendere le fila di una saga dopo vent'anni e poi, proprio grazie a Prometheus, il pubblico che va a vederlo sa già un poco cosa lo aspetta e non rischia di rimanere spiazzato in modo tragico.
Com'è andata, quindi? Bene. E ci sono un sacco di cose da dire (spoiler? Non mi sento di negarlo).

Lo so che passerò per ottuagenario, ma la cifra che, nuovamente, Scott riesce a mettere nella realizzazione del film dal punto di vista dell'atmosfera, della fantascienza impiegata e della pura regia è qualcosa che non si vede così nell'ambiente da tempo immemore. Questo un po' perché i film di fantascienza sono diventati pochi (e quei pochi sono pure minimal), un po' perché molto spesso c'è una certa sciatteria dal punto di vista realizzativo, come se si potesse demandare quasi tutto agli effetti speciali.
Covenant è pieno di tocchi deliziosi, compresi i titoli di testa raffinati, con atmosfera, cura dei dettagli, ambientazioni che riempiono la scena e soddisfano lo spettatore. Ritrova, nella prima escalation d'orrore, il migliore Scott, compresi i cambi di scena e i cunicoli claustrofobici. Più in generale ostenta dell'artigianato con le palle che esiste a prescindere dalla narrativa impiegata ed è un vero e proprio balsamo per chi era abituato a certe lavorazioni che propinano solo situazioni appiattite e scialbe senza la minima traccia di cuore.
Esattamente come fu per Prometheus, dal mio punto di vista, la pura tecnica promuove il film a prescindere dalla vicenda narrata. Potete considerarlo un approccio troppo superficiale come pure troppo estetico, ma così, per me, è.

Affrontiamola, però, comunque, la storia di questo Coventant. Perché se è vero che l'immagine ci ha fatto godere in sala, sarà questa a trascinarsi nelle arene digitali, anche per anni, e ad animare i dibattiti online. Personalmente, mi sono fatto una certa idea, su Scott ancor prima che su Alien, ed è in funzione di quest'idea che ho letto questo film.
Ai tempi di Prometheus avevo sottolineato come Alien rappresentasse il conflitto dell'uomo con la propria carne, più in particolare il conflitto della donna con la sua capacità di procreare. Quest'aspetto veniva violentemente sottolineato in Prometheus, ma appartiene sicuramente all'intera saga. La nascita del mostro, dopotutto, è una versione horror degenerata di un parto. C'è però sicuramente un secondo tema, carissimo a Scott, che evidentemente prende il controllo di questo Covenant ed è il rapporto con le macchine nel senso di nostre creature, ma anche nel senso di esseri completamente staccati da noi, nemiche in quanto altro da noi.
Quando si scorrono le scene clou del primo Alien, molto spesso ci si dimentica l'importante ruolo del personaggio di Ash, il primo sintetico della saga, sintetico di cui scopriamo la natura solo molto avanti del film, sintetico che trama contro l'equipaggio in nome degli interessi della compagnia. La diffidenza che Ripley finisce per provare per Ash ricadrà poi su Bishop in Aliens, che praticamente si redimerà al costo della propria vita, ma poi lo stesso simulacro di Bishop ricomparirà in Alien3 nuovamente come araldo degli interessi impersonali della megacorporazione. Saltando a pié pari la tenera Wynona Ryder di Resurrection arriviamo a David e Walter, nuovamente due creature ambigue, il primo soprattutto arteficie quasi inconsapevole della rovina della Prometheus, ma vero e proprio deus ex machina malvagio di questo Covenant.
La poetica di Scott sembra dirci che i sintetici (e più in generale le macchine) essendo distaccati da noi, non provando reali sentimenti nei nostri confronti, diventano sovente il corretto mezzo tramite cui le megacorporazioni e gli interessi utilitaristici riescono a portare avanti i loro progetti. E' vero per Ash, è in parte vero per Bishop, è il cuore dei funzionamenti di tutti i computer del mondo di Alien (nel terzo capitolo la Weyland-Yutani viene chiamata automaticamente dai sistemi di sicurezza) e trova ulteriore sviluppo nel comportamento quasi psicopatico di David. Qui, però, abbiamo un ulteriore passo avanti. Le scene tra David e Walter nelle grotte, infatti, più che alla saga di Alien richiamano assolutamente i momenti più alti di Blade Runner (che, non a caso, è ancora Scott) nell'interrogarsi sulla forza creativa della macchina e sul rapporto creatore-creatura.
Non è un caso che la creazione dell'Alien, del killer perfetto, risulti il frutto del desiderio disumanizzato del sintetico di creare. L'Alien è un'opera grandiosa e stupenda, perfetta (come si ribadisce in moltissimi dialoghi lungo la saga), ma può essere giudicata tale solo una volta abbandonato qualsiasi senso etico.

Certo, affrontare questo tema di petto e metterlo al centro di un Alien è, a suo modo, spiazzante e, forse, scorretto. Che il tema sia da sempre a cuore di Scott è dimostrato, ma comunque il centro della saga è sempre stato la carne e la sopravvivenza degli esseri viventi. Di questo in Covenant non c'è molto. A parte le sequenze di sventramento (ben fatte, doverose, ma non clamorose) non c'è una vera riflessione sugli uomini e sulla vita, se non appunto su quella sintetica.
In conclusione Alien Covenant, come Prometheus, è un film di fantascienza. E' un film di fantascienza spigoloso e con qualcosa da dire, come ormai, praticamente, non se ne fanno più. Difficile dire come il pubblico vi si può rapportare, perché è difficile capire cosa ci si sarebbe dovuti aspettare da lui. Persino nel giochino della continuity, la piega che prende la storia nel finale lo allontana da Alien (1979) invece di avvicinarlo, fatto che potrebbe far storcere il naso ai puristi. E' quindi un film che probabilmente risulterà controverso, meno di Prometheus solo perché in linea con lui, per l'appunto. Secondo me, però, ce ne sarebbe da discutere, e questo è certo un gran bene.

“Look on my works, ye Mighty, and despair.”

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