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1120, 24/06/2023 - Fatalismo
1120
24 . 06 . 2023

Ritratto del giovane in fiamme

Giunge a noi al solstizio d'estate, e la ghirlanda di fiamme intrecciate di Ifrit e Fenice dipinta da Yoshitaka Amano si manifesta nella torrida calura delle nostre giornate.
I suoi vessilli sono rosso fuoco e darà battaglia ai nostri nasi arrossati, ai nostri coppini incandescenti come il fuoco dopo un pomeriggio senza crema solare. Si scontrerà con il richiamo del mare cristallino che si scorge dopo l'ultima curva dell'autostrada A15, o con gli incroci di calendario su Airbnb.
Final Fantasy XVI giunge a noi nel primo giorno d'estate: questo è un dettaglio insignificante nella sua storia ultra-trentennale, che gli annali non riporteranno, che le nuove generazioni che ne giocheranno la remaster tra vent'anni non ricorderanno... ma è un dettaglio prezioso per noi, che siamo qui ora. Rimarrà impresso a fuoco nella nostra storia personale, di noi che c'eravamo quando uscì Final Fantasy XVI.

Il problema è che questo rischia di essere un gioco normale.

Il profeta efficace è quello che si sbaglia, perché significa che è riuscito a cambiare il mondo.
Noialtri qui assomigliamo un po' a profeti - voce di uno che grida nel deserto - ma purtroppo abbiamo sempre ragione. Questi miei editoriali sono la cronaca in tempo reale, anno dopo anno, mese dopo mese, di una presa di coscienza angosciante. Final Fantasy XVI potrebbe essere un gioco normale.

I Giochi Normali™ escono e vengono giocati, e possono piacere oppure no; ma un Final Fantasy con il numero è un'opera da valutare nelle prospettive solenni della Storia. Questo è il Decimo Sesto del Suo Nome: l'erede il cui regno si dovrà misurare con altri quindici prima di esso.
Non si tratta di una responsabilità di poco conto: cfr. tutti i rampolli debosciati e suicidi di cui sono piene le cronache mondane. Un Final Fantasy nasce sotto una stella più fulgida, ma più esigente.

Le opinioni, le Recensioni dei giornalisti di settore, le disanime tecniche e gli approfondimenti non colgono il nocciolo della questione: l'industria non è attrezzata per ponderare la misura di Grazia che deve essere propria di un Final Fantasy.
La Grazia (ormai ne siamo ossessionati) è la qualità mistica che permette ad un'opera di trascendere la propria natura limitata. La Grazia è quella benedizione impalpabile infusa persino in un videogioco piagato da mille problemi come Final Fantasy XV: è la scintilla che mi fa sentire le farfalle nello stomaco quando ricordo quegli ultimi momenti tra Noctis e Lunafreya, che mi fa avvampare le orecchie quando ricordo le aeronavi che invadono i cieli plumbei sopra la Capitale.
Il Final Fantasy precedente è detestato quasi per sport dai sommelier del videoludo (età media: 17 anni), perché il gregge umano ha bisogno di un bersaglio contro cui volgere il malanimo, e deve essere un bersaglio validato da capi carismatici, sicuro sicuro, la cui bruttezza è una verità universalmente riconosciuta.
Ma a me piaceva, viaggiare su una berlina di rappresentanza lungo i tornanti scenici della costa, sostare in un ristorante stellato, riprendere il viaggio verso le paludi e fermarsi la notte a pescare un leggendario pesce siluro di due metri, e infine approdare alle rovine semisommerse di un antico tempio da esplorare... Sono scintille ineffabili di Grazia che risuonano nel mio animo più forti dei bilanci attivi e passivi di SquareEnix, dell'incompetenza di Nomura nella gestione di un progetto decennale, dei contenuti tagliati e delle storie troncate e del sistema di combattimento squilibrato e insulso.

La Grazia è quello che mi fa parlare ancora di Final Fantasy XV e mi fa dire poco di Final Fantasy XVI nel giorno della sua uscita.
E se il XV è controverso, è ridicolizzato dal gregge, quanto mai dovrei parlare di un VI, o VII, o X, o insomma di uno di quelli acclamati anche dal belato popolare?
Final Fantasy XVI, l'ho detto fin dal primo istante, non mi dà i sudori freddi, non mi fa sentire le farfalle nello stomaco, non mi fa avvampare le orecchie. Col tempo ho imparato a rispettarlo come un titolo degno di lode in tutti i suoi aspetti tecnici e narrativi, e ora che il gioco lo possiamo stringere tra le mani ne abbiamo avuto la nostra conferma. È un bel gioco. Ma Final Fantasy poteva essere “un bel gioco” nel 1987: nel 2023 deve essere un grande, un degno Final Fantasy.
Il che vuol dire che tra venticinque anni bisognerà che qualcuno sia ancora talmente infatuato del chara-design di Jill Warrick da spendere mesi di lavoro per realizzarne le texture ad alta definizione in 8K come è stato fatto oggi per Tifa Lockhart.
Final Fantasy deve ispirare questi atti di devozione maniacale: o così, oppure parliamo di un gioco normale. Final Fantasy vuol dire questo, solo questa è la sua essenza: tutto il resto va bene che sia in continua trasformazione, come l'universo.
Non so se accadrà per il XVI: certo ha tanti aspetti pregevoli, tanti momenti giganteschi nella portata e nelle coreografie. La sua insistenza su temi feroci come sangue e soprusi ha l'effetto desiderato, ovvero di suscitarci delle emozioni forti: a momenti sembra che l'RPG scritto da George R.R. Martin sia questo, mica Elden Ring! Se siano meglio questi tradimenti sanguinosi rispetto a un bacio adolescenziale sott'acqua tra Tidus e Yuna, bé, dipende.

Lo amerò con il pensiero, non con il cuore. O forse, arrivato in fondo, Final Fantasy XVI avrà saputo conquistare anche il cuore. Intanto possiamo lasciarci blandire le orecchie dai dialoghi shakespeariani nella tradizione di Vagrant Story o del XII o di Tactics... persino nella traduzione italiana, nonostante qualche scivolone (“Trascendenza Ausiliare”? Sento quasi puzza di Gualtiero Cannarsi).
Peccato che manchino completamente i segreti: no dungeon segreti, no equipaggiamenti segreti, no boss segreti. Forse ormai questa roba costa troppo per sopportare l'idea che ne fruisca solo una minima frazione del pubblico, ma è ben triste. Almeno anche il XVI porta avanti la tradizione delle collaborazioni con l'alta moda.
Non so se mi sveglierò nel cuore della notte, tra dieci anni, ripensando al feedback aptico delizioso dello scorrimento dei menu dei negozi di Final Fantasy XVI (come mi succede, giuro, per quelli del XII). Non so, ma lo spero: ogni Final Fantasy, così come ogni viaggio nella vita, è innanzitutto un'occasione per assicurarsi qualche memoria cara, qualche dolce ricordo che ci sorregga nella nostra battaglia quotidiana.

Lo-Rez: arte, storia, web design
24 . 06 . 2023

Santa pazienza

Il fatalismo è l'ultimo rifugio disponibile per un ingegnere prima di dover ammettere che ha sbagliato, appare come una soluzione irrazionale e patetica, ma è comunque una possibilità per evitare di dire di aver fatto errori e quindi è sempre giusto sfruttarla, anche quando va così così.

C'è fatalismo, però, anche nel mondo dei videogiochi, infatti sembra che dobbiamo metterci tutti l'animo in pace, per fare un videogioco ci vogliono 4, 5 magari anche 6 anni e non azzardatevi a chiederne di meno. Per una società che è sempre più veloce e che pretende tutto e subito, soprattutto in ambito digitale, parliamo di tempi più che biblici. Significa che la green light per un gioco ipotetico che esce oggi è stata data nel 2017, dove 2017 è un anno così lontano che sembra quasi buono per un romanzo in costume. Gioco ipotetico, ovviamente, perché se invece parliamo proprio di un gioco reale, tipo Starfield, che pure ha tutte le sue sfide e le sue particolarità, sembra che dobbiamo ritornare ancora più indietro. Parliamo di giochi che cominciano a essere sviluppati quando la tecnologia che poi sfrutteranno esiste solo in linea teorica.

Questa notizia mi lascia una sensazione strana perché vedo proprio una mancanza di proporzioni tra il tempo e quello che viene realizzato. Sei anni sono il tempo che serve a un palazzo per essere eretto e poi quel palazzo magari starà lì per cinquant'anni e allora poco importa quanto ci si è messo. Un grande videogioco invece, quando è molto-molto fortunato, può far parlare per un tempo si e no equivalente al suo tempo di realizzazione, tenuto in vita da DLC che rappresentano altri sviluppi e magari può vedere rinnovato il suo visto per l'esistenza nel momento in cui viene aggiornato con un seguito che, è ovvio, non rappresenta un progetto totalmente nuovo, ma un semplice aggiornamento del progetto presente.
Quindi, se sembra che ormai dobbiamo accettare un lato dell'equazione, ovvero i tempi di realizzazione, evidentemente serve che l'approccio al gioco sia tale da aumentare l'altro lato. Un gioco per sopravvivere sulla scena cinque-dieci anni e continuare a fare soldi non è più un videogioco, è necessariamente un mondo, qualcosa che cresce col passare del tempo anche dopo essere stato rilasciato e tanto vasto da non annoiare. In questo senso Starfield sembra proprio qualcosa del genere, ma se pensiamo anche a tutti gli open world di successo (si, Death Stranding again) devono continuare ad aprirsi, costruire, elaborare. Lo abbiamo già scritto poche settimane fa, l'IA nella generazione proprio prossima di videogiochi farà si che molti spazi dei mondi virtuali oggi vuoti potranno essere riempiti di creature e contenuti credibili che magari daranno anche risultati inaspettati che daranno un senso nuovo al concetto di esplorazione. Non ci aspettiamo certo che negli anfratti dei prossimi free roaming creascano e si sviluppino forme di vita digitali come capita negli isekai, ma possiamo espandere i mondi virtuali in direzioni nuove, a prezzo relativamente contenuto. Se cominciamo adesso le possibilità per i giochi che realizzeremo (e che usciranno fra sei anni) sono illimitate.

Ma queste dimensioni, dall'altra parte, schiacciano quell'altra cosa a cui teniamo molto qui a FTR ovvero la trama, il racconto e la narrazione sotteso a un videogioco. Non è un problema risolvibile, ci sono proprio dei termini architetturali per cui una storia non può essere tenuta in piedi per dieci anni, soprattutto in un videogioco. Una storia deve essere compatta, avere il suo ritmo e, soprattutto, il suo finale. Niente che sembra accordarsi con questo tipo di progetti. Allora ci chiediamo preoccupati come si districa, tra queste dinamiche, un titolo come Alan Wake 2 che ci è simpatico unicamente perché siamo fans sfegatati di Control. Control in realtà era un gioco che si prestava a essere infinito, con il suo palazzo bigger in the inside che effettivamente ti lasciava ancora grande libertà di movimento anche completata la quest principale, ma Alan Wake sta investendo così tanto sui suoi protagonisti che non può andare così, il racconto deve essere potente. Quindi? Sei anni per un film interattivo che può rimanere sulla cresta dell'onda per forse due? Allora perché non un film? Perché ormai i film sono oggetti sempre più cheap che si cerca di creare colossali, ma che se si arriva ad avere mezzo budget e mezzo tempo rispetto all'utile poi si sbattono su Netflix e si è contenti lo stesso.
Eccoci sull'orlo del grande paradosso: un videogioco, un prodotto commerciale, ancora privo del rispetto e della considerazione che forse merita, è ormai un processo industriale più lungo, costoso e impegnativo della settima arte, del cinema.

Il boccone di apocalisse finale: questo pachiderma finirà con non potersi reggere più sulle sue gambe e crollerà, lasciando solo agli indie e agli unity la scena? Ci metteremo qualche sorta di occhialoni e ci chiuderemo in mondi persistenti che non moriranno mai e verranno solo costantemente aggiornati? Oppure quei geniacci del marketing troveranno veramente un modo per fare molti più soldi da un videogioco così da giustificare l'investimento, il tutto a nostro discapito? Possiamo solo stare a vedere.

Intanto, a corollario, un'altra evoluzione dello scenario che scricchiola: XBOX Cloud è al momento in perdita. Da tempo questa colonna è certa che il videogioco in streaming sia il nostro inevitabile futuro, non mi nascondo dietro un dito negando notizie come questa. Quello che sta accadendo è che stiamo ancora cercando la quadra della tecnologia, sia per quello che riguarda la trasmissione che l'uso, l'oggetto è lì, ma non funziona. Dovremmo cominciare a usarlo per certi generi e certi giochi in cui le cose sono più facili, come gli strategici o prodotti più riflessivi, peccato che questi non siano mai triplaA e che il ristretto campo dei giochi fighi che meritano di essere giocati hanno sempre bisogno di un'elevata reattività. Si tratta quindi di continuare ad avanzare a fondo perduto, per paura che gli altri competitor ci sopravanzino, aspettando che finalmente la gente capisca. In questo caso, almeno, noi videogiocatori stiamo tranquilli, questa corsa al massacro è tutta per i player dell'industry, noi coglieremo i frutti. Anche se magari tra cinque-sei anni. Tempo dell'uscita del gioco che stiamo pensando ora.

“When the sailman's sailing away / He shows that the dream of Lemuria is true / A land lost he will find again / Hear the call from the depth of the anemone song / Do you dare to enter the ship? / Hear the call from below of an underwater world / Land of Mu is close to the stars / In the arms of the sea you will live as hypnotized”

Cymon: testi, storia, site admin