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11/10/2k25 - Ritorno dalle ferie: Niente che non si possa riparare dopo il caffé
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11 . 10 . 2025

PIF

Mentre ci addentriamo nel cuore grigio e arancione dell'autunno, che se non siamo meteopatici dobbiamo ammettere che è proprio una bella stagione a queste latitudini, corriamo due rischi: ricadere nell'ossessione mangiasoldi dell'Abbigliamento Tecnico™, e chiuderci tra quattro mura per riemergere (forse) a maggio.
Notare che le due cose sono in contrasto tra loro... spero, perché altrimenti saremmo davvero al di là di ogni speranza.

Un rischio che non corriamo affatto invece è restar senza la legna per alimentare le passioni che ardono in noi e su queste pagine. È dall'estate che facciamo scorta ma, come dicevamo le volte scorse, i nostri foglietti di appunti raccolti con cura sono stati tutti scompigliati dai venti fortissimi dello Zeitgeist: un capolavoro dopo l'altro, le abominevoli Polemiche di Internet...
Questa settimana però si è aperto finalmente uno spiraglio di pace.

Sotto col primo foglietto: ah, ma è... ancora Ubisoft!?
È più forte di noi: la Fabbrica dei Francesi è come un anti-faro, che ci indica la via in ogni situazione. La via SBAGLIATA.
Io ci provo a deporre le armi, queste pagine mi sono testimoni... ma poi Ubi cara se ne esce con dichiarazioni come “Assassin's Creed è diventato un RPG da 200 ore perché volevamo combattere l'usato” (ah, il sacro fuoco della creatività!). Oppure la dichiarazione d'amore entusiasta alla generazione dei contenuti con l'IA.
Ma su tutte troneggia questa: l'espansione di Assassin's Creed In Medio Oriente commissionata e finanziata dal Principe Ereditario dell'Arabia Saudita (noto anche come il Principe delle Tenebre).
Il quale gran fellone ci aveva già tirato uno schiaffo morale introducendo nel picchiaduro di SNK (altra sua proprietà) nientemeno che i personaggi giocabili di, erm... Ronaldo e Salvatore Ganacci.
E ancora: proprio in questi giorni lui e il suo fondo PIF hanno acquisito anche Electronic Arts.

Il cyberpunk è già tra noi: solo che non è distribuito in modo uniforme. E più che dalle zaibatsu ci ritroviamo soggiogati dal PIF (?).
L'industria videoludica sembra essere stata scelta come testa di ponte per questi assalti finanziari: e fin qui non m'importa nulla, ma speriamo non diventino assalti ideologici, perché di censure ce ne siamo già date troppe senza bisogno di aggiungerne di nuove. Le Piattaforme illuminate già ci sopprimono e demonetizzano se diciamo “pupù” e “popò” e “cattivone!” e “stupidino!”, estendendo il loro controllo sulla comunicazione pubblica ben oltre e ben al di là di qualunque norma di legge occidentale.
Quel che si può fare e dire pubblicamente è già stato codificato nella Legge che ci siamo dati quando i nostri antenati anfibi sono emersi dal brodo primordiale e si sono costituiti in una società civile. Non abbiamo bisogno che un fondo d'investimenti o una società per azioni multinazionale ci vengano a dire cosa è il Bene e cosa è il Male.
Come non abbiamo bisogno che la nostra carta di credito si rifiuti di sborsare i nostri soldi se vogliamo acquistare i giochi con le donnine con le orecchie da gatto (!?). Quello è stato un altro episodio di distopia cyberpunk, per fortuna accaduto nel cuore dell'estate quando non potevamo commentarlo a caldo.
In realtà la questione si è rivelata particolarmente fumosa, ma parrebbe legata alle diverse quote di commissioni da pagare in base alla classificazione del bene (stiamo comprando videogiochi o disegnini zozzi?), piuttosto che a un qualche improvviso “rimorso etico”.
Fiuuu!

Ecco, l'abbiamo fatto un'altra volta: ci siamo spinti pericolosamente vicini alla Vita Reale.
(La Vita Reale possiamo immaginarcela come un oceano di catrame di Death Stranding, con tanto di fantasmi astiosi che cercano di trascinarci giù.)
Ma almeno è stata concentrata tutta in questo editoriale, così che le prossime settimane (se ci saranno) potremo ritornare a parlare di giochini e orecchie da gatto.

“As I pull on the J125, the first thing I notice is the stance of the jacket. It feels concise, sharp, and yet at the same time unrestrictive. The fabric is pleasant; its smell and touch tell me it is a natural fibre, its grit and weight tell me it is resilient and precisely made. I can move my arms freely. Nothing disturbs me. The collar sits reassuringly against the back of my neck, and when I flip it up, I am surprised by its height, and how protected I feel. The interior collar material is not the same as the jacket. It is softer than the jacket body and comfortable against my skin. I notice the front zipper continues into the collar and am pleased to see that pulling on it zips it shut completely, forming a reassuring barrier to the elements.
[...]
I unzip the hand pockets, marvelling at the self opening mechanism of the teardrop shaped tension zippers. I thrust my hands inside and I am not disappointed. The pocket bags are deep and extend both forward and backwards from their entry. 'I can easily fit my gloves and my hat in here', I think. 'Maybe even my small cat, if I had to, but not the bigger one'.”

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11 . 10 . 2025

Di nuovo tutti assieme

Anche se è già ottobre, possiamo ancora discutere delle sensazioni che da il ritorno dalle ferie. Nell'era moderna non esiste più il mito di andare via ad agosto così da trovarsi via assieme a tutti gli altri e sempre più persone usano il mese successivo, anche grazie al cambiamento climatico, per godersela un po'. Poi però anche loro tornano e non si sa mai cosa succede di ritorno dalle ferie. A parte le cose che erano normalissimie prima di partire e di cui non ti ricordi più e quindi sembrano stranianti come mostri di Silent Hill, ci sono anche tutte le cose che sono successe in tua assenza, magari perché quell'attività a cui non hai mai dato peso e che hai fatto tutti i giorni, nel momento in cui non è stata fatta una volta ha scoperchiato un vaso di Pandora ricolmo di demoni. Cos'è l'ossessivo-compulsività, in fondo, se non un buon metodo per tenere lontani gli spiriti maligni?

Multiplayer.it fa il punto sul Tokyo Game Show e la lettura di questo articolo non potrebbe essere più straniante. Stiamo parlando del Giappone, la terra dove i videogiochi nascono e dove esistono davvero tutti i nostri sogni più importanti. Nonostante questo, invece di concentrarsi sui Videogiochi Veri per Veri Videogiocatori l'articolo si mette a parlare di termini bizzarri come gatcha o si interessa a free to play coreani. In qualche bizzarro angolo del multiverso siamo finiti?

L'articolo è molto interessante e parla della flessione che sta avendo oggi un mercato che, pur facendo numeri giganteschi, non è mai stato sotto i nostri riflettori occidentali. Ogni tanto mi capita di tirare in ballo alcuni dei titoli riportati proprio nel tentativo di dare una scossa almeno a voi lettori e farvi rendere conto di quello che sta accadendo. Alcuni degli analisti ancora legati alle vecchie dinamiche dei triplaA (si, quelle che portano a successo o licenziamento) credono che l'attuale diminuzione di ricavi in questo settore sia da considerare come l'esplosione di una bolla. La realtà dei fatti è che ci troviamo davanti al rimbalzo di un sistema che è cresciuto in maniera ipertrofica e incontrollata e adesso forse raggiungerà la sua dimensione reale. Un rimbalzo è sempre qualcosa che fa male e certamente ci saranno diverse persone che ne usciranno con le ossa rotte, ma come ogni altro atto doloroso, sarà anche un atto di evoluzione. L'idea che gli sviluppatori dei gatche e dei free si stiano spingendo verso nuove idee e nuovi modelli di business è una notizia interessante. Abbiamo tributato anni di disprezzo a questo mondo perché anche quando mostrava alcuni lati satisfying comunque dava l'idea di voler essere un passatempo brainless come un qualsiasi Candy Crush. Il fatto che la saturazione stia facendo dire che è ora di consolidare nuovi orizzonti potrebbe finalmente dare qualcosa che si, anche i Veri Videogiocatori potrebbero tornare ad amare.

In fin dei conti abbiamo già avuto un'epoca di online massimo a ogni costo, in cui tutto il gaming tradizionale si è svenato per investire nei MMORPG, fino all'arrivo di World of Warcraft che a un certo punto si è preso il trono divorando tutte le risorse del genere e, in qualche modo, uccidendolo. Era ai tempi una competizione tra attori vecchio stile che paradossalmente erano partiti da delle soluzioni molto particolari e di nicchia (come Ultima Online e Dark Age of Camelot) per poi approdare a un modello di gioco estremamente semplificato che esaltava alcuni aspetti della collaborazione ammazzandone altri per cui il mondo non era proprio pronto.

La new wave dei giochi free to play che arrivano dall'oriente (e che, attenzione, soprattutto in oriente sono giocati) nasce come un'evoluzione on steroids dei giochi per telefonetti e ha raggiunto il dominio del pianeta con la stessa malvagia capacità di insinuarsi dei giochi per telefonetto. Ora quindi il trend sarebbe complicare la situazione, fino a creare dei giochi che abbiamo più rispetto di sé, che siano online, che siano massivi, ma che, magari, non saranno esattamente free. Siamo pronti a farci ammaliare da qualcosa del genere? Secondo me prima di riuscirci, anche se avessimo a disposizione dei prodotti bellissimi, dovrebbe avvenire un certo cambio di paradigma comunicativo, una certa mossa strategia nazional popolare per partire alla conquista dell'occidente. Nessuno, insomma, ha un brivido oggi sentendo il nome di Cygames (tranne me e le mie cinquecento ore di Shadowverse) e difficilmente riuscirebbe a convincerci che ha tirato fuori il gioco definitivo per noi. Prima di un annuncio del genere dovrebbe renderci disponibili ad ascoltarla.
Per ottenere questo in realtà ci sono moltissime vie, in ognua bisogna solo riversare moltissimi soldi, soldi che, checché ne dicano, a questa gente di certo non mancano.

“Ooh ooh Har jeg noen å være med? / Ooh ooh / Har jeg noen å dele med? / En som meg / Kan og være en som deg / Kan og være ensom / Kan og være ensom”

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