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973, 27/06/2020 - Le risposte del DB
973
27 . 06 . 2020

Bella scoperta

M-ma... ma Gödel! Ancora? Anche la tua seconda uscita fuori dalle sacre mura della fortezza domestica è con Clara? (Sempre nel rispetto delle distanze interpersonali, questo va detto.) E per di più questo pare proprio un incontro semiclandestino col favore delle tenebre della Sala Server, là dove da sempre vengono sussurrati i più intimi segreti del cuore (?).

Il sole scotta ancora, proprio come ce lo ricordavamo, e trae riflessi abbacinanti dalla superficie dei laghi di montagna. Se la Situazione ci fa tutti prigionieri entro i confini del nostro paese, e come Guerrieri Erranti ci sentiamo chiusi in gabbia, dobbiamo però ammettere che potevamo finire in prigioni ben più brutte e squallide della nostra malandata Italietta.

Eppure le meraviglie del Bel Paese sono offuscate da tutto ciò che sta accadendo nel settore del Divertimento Elettronico. Che è quasi niente, ma è un niente scosso ogni tanto da picchi altissimi di eccitazione... e tanto basta.
Mi sono lanciato settimana scorsa in una disamina appassionata di The Last Of Us Part II... e pensate cosa avrei scritto se lo avessi davvero giocato dall'inizio alla fine!
Il termine che mi è mancato, in quell'editoriale, è “Dissonanza Ludonarrativa”.

Ecco, e con questo possiamo anche chiuderla qui.
No, ma per davvero, la Dissonanza Ludonarrativa è uno di quei termini tecnici che le discipline umanistiche amano inventare per darsi la parvenza della Scienza; e soprattutto che i critici in ogni settore amano usare per distinguersi dal volgo. Andava di moda una decina d'anni fa, quando tutti i videogiochi erano una stramaledetta “riflessione sulla violenza”. Ebbene, TLOU2 è una stramaledetta “riflessione sulla violenza”. Per questo la mia sensazione principale davanti a questo gioco, a questo capolavoro incontestabile, è: che palle.
Sarò ingiusto a criticare l'unico aspetto in cui questo gioco non stabilisce un nuovo standard di qualità... ma non mi si venga a dire che The Last Of Us ci racconta cose nuove. Come canto del cigno della sua generazione va benissimo così: vediamolo come un riassunto migliorato e corretto dl videogioco negli ultimi vent'anni.
Ora basta però. Ora è tempo dei Death Stranding e di una generazione nuova che provi a dire cose nuove... e che tra vent'anni alla fine di questo processo ci dia un capolavoro perfettissimo come è stato TLOU2.

Ma questa settimana è stata la settimana di Cyberpunk 2077. Il gioco è ancora lontano, e le rivelazioni di giovedì non sono state poi così rivelatorie. Però ci sono cascato di nuovo. Non ho saputo resistere e ho seguito l'evento Night City Wire in diretta streaming.
Non tutto, perché incredibilmente c'è altro nella mia esistenza, e non esattamente in diretta, perché ormai la tecnologia ci permette il pieno controllo del flusso temporale. Ma trovo che questi eventi siano eventi soltanto se vissuti come tali: leggerli sul giornale il mattino dopo non dà la stessa emozione.
Bella scoperta, si dirà.

Lo-Rez: arte, storia, web design
27 . 06 . 2020

Killed radio stars

C'è quella fase nell'adolescenza in cui si è terrorizzati all'idea che i genitori ci facciano vedere un film per adulti, non nel senso di un porno, ma un film cosiddetto "drammatico" in cui ci sono persone normali a cui capitano problemi normali e che hanno evoluzioni normali. Per il bambino il cinema è fantasia e magia, soprattutto perché non ha ancora in sé la complessità del mondo, quindi vedere un Kramer contro Kramer (film che ebbe questo effetto su di me eoni fa) in cui alla fine si parla solo di un terribile divorzio è un supplizio, non importa quanto la pellicola in sé sia un capolavoro.
Per i videogiochi questo pericolo per molti anni non è mai esistito. I videogiochi erano solo per avventure grandiose e piene di fantasia. Al di là della profondità della storia il fulcro era sempre un altro da noi, molto distante, ben affondato nella letteratura di genere, nell'immaginario del fandom, nei futuri e nei passati immaginabili.
Arriviamo all'oggi e anche i videogiochi sembrano voler raccontare una nuova intimità, l'importanza degli atti banali, la complessità dei rapporti umani normali. Molti giochi indie esplorano questioni del genere, sviscerano sensazioni comuni a tutti, a volte anche con setting e storie assolutamente aderenti alla realtà.
L'adolescente che è in me è tutt'oggi terrorizzato da questa cosa.

Oxenfree non fa parte esattamente di questo genere, ma vorrebbe e questo è forse il primo punto su cui il mio gusto si è arenato. La storia in verità è un'inquietante vicenda di spettri e onde radiofoniche, loop temporali e dannazione, però è evidente l'accento posto sui rapporti umani tra i loro protagonisti, intrecciati in vicende famigliari complicati, funestati da lutti recenti o anche solamente pronti a prendere il largo nelle avventure della vita. Oxenfree vi mette a confronto con delle creature extra-dimensionali che vogliono la vostra anima, ma quello che in realtà vuole che facciate per lui è ripianare i rapporti umani del gruppo di ragazzini protagonisti, sanando le loro ferite e preparandoli alla vita adulta. L'adolescente che è in me voleva sconfiggere solo gli spettri, ma no, devi stare lì a pettinare i rapporti tra le persone, far sì che si tengano la manina e si chiedano scusa.
Stiamo parlando di un'avventura grafica, genere che ho sempre considerato sacro, e come vedete gli autori ci hanno messo il carico da novanta in quanto a temi affrontati. Quindi? Entusiasmo come il resto del mondo sembra aver avuto per il titolo? Mmmmmh no.

Partiamo dalle cose buone, la regia di Oxenfree è ottima, tutte le parti che riguardano i fantasmi sono da brividi su per la schiena, fatte benissimo. Il trick del loop temporale che interviene direttamente sull'azione dell'utente è geniale, il senso di trappola perfettamente reso. In questo senso non ho assolutamente nulla da eccepire.
Quello che invece proprio proprio non sono riuscito a farmi andare giù è quest'idea molto moderna, molto comune oggi dell'avventura atipica, in cui in realtà tu non risolvi gli enigmi, ma partecipi al flusso degli eventi, prendi decisioni che li modificano e in sostanza veleggi abbastanza tranquillamente verso il finale per una run di circa cinque ore in cui è difficilissimo (una volta trovato il tasto per la mappa) rimanere bloccati. Tutto il gioco-gioco si riduce a cliccare sui tre hotspot (quando sono tanti) disponibili e girare la manetta della radio o quella dei registratori che magari potevano anche essere resi come minigiochi interessanti, invece sono mortalmente noiosi (soprattutto quando avrete la radio con più frequenze).

Oxenfree però offre un'esperienza meta-videoludica. E' ben vero che non potete fermarvi nel flusso della storia, ma potete influenzarlo con delle decisioni (piuttosto evidente quando questo accade) oppure agendo in una certa maniera sui dialoghi (attività terribilmente più sottile). In pratica mentre procederete nella lotta ai fantasmi vi troverete a esplorare uno dei rami delle possibilità. Quando l'avventura sarà finita potrete ricominciarla e andare a vedere nuovi rami. Il gioco, in realtà, per come presenta il finale, necessita di questa fase per essere realmente finito visto che la sua rigiocabilità è in realtà un loop temporale a sua volta, da cui dovete liberare i protagonisti in maniera definitiva solo raggiungendo l'obiettivo conclusivo in una particolare maniera.

Questa idea messa così è una figata, fa parte di quei vasti campi di sperimentazione in cui ho sempre esortato i videogiochi a veleggiare però, di nuovo, torna a rompere le balle l'adolescente. Io capisco quanto sia importante far elaborare il lutto alla protagonista e alla sua amichetta acida così come sia complicata l'accettazione di un fratellastro in una fase difficile della vita, ma non è divertente manipolare questi temi e in realtà niente, in Oxenfree è divertente in senso videoludico. Se anche voleste esplorare i finali, sperimentare reazioni, scoprire come mandare tutto in rotta (la soluzione per far andare tutti d'accordo è, in effetti, la più banale da trovare) dovete comunque sobbarcarvi cinque ore di camminate su e giù per l'isola (e poco più) con dialoghi che anche se modificano la storia lo fanno così sottilmente che probabilmente non potete accorgervene se non a posteriori o consultando le lunghe guide da avvelenati che sicuramente ci sono su internet.

Oxenfree è un buon esempio di cosa è un prodotto indie oggi: uno schema collaudato usato per fare e dire qualcosa di nuovo e diverso, a suo modo un genere videoludico messo al servizio di un racconto dove si parla di racconto in termini diversi da quelli delle storie lineari propri di altri media. Però, come molto materiale indie, manca di essere ruffiano nei confronti dei suoi utenti, manca di allettarli o anche solo di dargli quella sensazione di aver fatto qualcosa, di aver risolto un passaggio, di essere parte del meccanismo. Oxenfree vuole essere studiato dettando lui le condizioni del coinvolgimento, con poco interesse per quello che il videogiocatore vuole.
E' un peccato, perché la storia e la resa, ribadisco, è maiuscola anche con lo stile minimale scelto, esistono diverse caratteristiche che lo rendono sicuramente un titolo di tutto rispetto. Solo che, ripeto, non è divertente.

“IS. LEAVE. POSSIBLE.”

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