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919, 01/06/2019 - Requirements
919
01 . 06 . 2019

Il fattorino

Questo. Solo questo ci servirà sapere per questa settimana.
Qualche giorno fa Hideo Kojima si è sentito pronto a condividere con il mondo qualcosa della sua prossima opera, Death Stranding, e ne ha annunciato l'uscita per il prossimo 8 novembre. Trattasi di un vero e proprio “Hideo Kojima: The Game”, ancor più dei Metal Gear Solid: padrone del suo studio, relativamente libero dall'influenza degli editori, il leggendario maestro giapponese ha potuto inseguire la sua visione artistica senza compromes-... Ma, ma, siamo sicuri che sia davvero una bella cosa? Dopotutto la storia è disseminata di vaccate prodotte da grandi maestri non appena le case produttrici hanno allentato loro il guinzaglio.
Da quanto ho potuto vedere mi sento di dire che SÌ, secondo me è una cosa buona. Magari si facessero dei film come Kojima fa i giochi. Magari si facessero dei giochi come Kojima fa i trailer. L'attesa di Death Stranding è emozione, trepidazione, ispirazione straripante... troppo, troppo per il nostro cuore malandato!
L'aspetto più dirompente di questo viaggio alla scoperta di Death Stranding che dura da ormai 3 anni è la sorpresa: sono solo giochi, dopotutto, e quel vecchio volpone di Kojima, così sanguigno nello sfoggio della sua arte, è anche abbastanza saggio da centellinare le rivelazioni e misurare le dichiarazioni, tutto per farci divertire e non rovinarci la sopresa, come quando eravamo piccoli.

Il culto della personalità di Hideo Kojima è un'anomalia in un'industria del divertimento elettronico sempre più spersonalizzata. Ma questo signore giapponese ultracinquantenne è tanto eccessivo nelle sue opere quanto pacato nelle interviste: forse l'unico designer superstar ad aver mantenuto un sacro rispetto per il suo pubblico (anche quando questo fa di tutto per meritarsi solo disprezzo). Mentre fa montare la tensione a livelli quasi insopportabili, con un uso sapiente di messaggi criptici e frasi sibilline, il buon Hideo non ci manca mai di rispetto, non ci considera mai solo portafogli deambulanti, non ci spreme fino all'ultima goccia di passione per poi spezzarci il cuore con noncuranza.
Kojima gioca con noi, si emoziona insieme a noi, è spettatore e lettore e videogiocatore come noi, incantato dal mondo quanto noi siamo incantati dalle sue opere. La gente si accorge subito di queste cose: per questo si è guadagnato un pubblico fedele che adora lui, non solo i suoi giochi.

E anche perché, onestamente, chi altri avrebbe il coraggio di chiamare un personaggio DIE-HARDMAN?
È questa mescolanza di intellettualismi finissimi, di ricerca tecnologica sublime, e di stupidate da coglionazzi quindicenni il tratto distintivo dello stile di Kojima. Un uomo abbastanza ardito da incentrare tutta la trama del suo blockbuster da 50 milioni di dollari sul ruolo del linguaggio nel preservare l'identità delle minoranze etniche (!!!)... e che poi ti infila a tradimento giornaletti porno lasciati a terra per distrarre i nemici, e letame di cavallo che fa scivolare fuori strada i carri armati.

Um, ok... ma veniamo alle ultime rivelazioni su questo Death Stranding. Non c'è nulla capace di guastarci la sorpresa, neppure nella versione giapponese estesa del trailer. Meno male: temevo che nemmeno Kojima potesse essere abbastanza ostinato da resistere alle lusinghe e alle minacce di Sony, che voleva una campagna promozionale più tradizionale per un titolo che è costato uno sproposito.
Una parte non indifferente di questo sproposito è servita senza dubbio ad aggiudicarsi la partecipazione di tali e tanti attori famosi. Attori hollywoodiani, nientemeno. Gente che è nei film di James Bond, tanto per dire. Più i cameo di due registi, Del Toro e Nicolas Winding Refn. Tutta questa gente è amica personale di Kojima, uno che evidentemente sa mettere in pratica il tema centrale di Death Stranding, ovvero l'importanza di creare connessioni tra le persone.
Un altro tema è la mano: cosa vorrai mai dirci, Hideo...? Una mano chiusa tira pugni e una mano aperta accoglie il prossimo, a quanto pare, ovvero una variante del famoso motto “Questa mano può esser ferro o può esser piuma”. Più tutta una simbologia legata a fiori che sbocciando diventano mani d'oro, impronte di mani nere su corpi nudi, mani che sorgono dal catrame per trascinarci sotto, e tanti indizi sibillini riguardo a simmetrie chirali, chiralità quantistiche e altra roba quantistica assortita.
Più che un gioco, a questo punto sembra quasi un manifesto politico. Al giocatore è affidato il compito di ristabilire i contatti tra le varie città-stato in cui si è frantumata la società in seguito a una misteriosa apocalisse, nientemeno. “INSIEME SI VINCE”, oppure si muore soli.
Normalmente uno non prenderebbe sul serio roba del genere infilata in un videogioco... ma in questo caso particolare stiamo parlando del profeta che ha fatto un gioco (MGS2) sugli effetti deleteri dei social network e la diffusione delle fake news. Nel 2001.

In fin dei conti possiamo solo sperare in bene. Quel che si è visto finora del gioco consiste esclusivamente nell'impersonare un fattorino che consegna pacchi a piedi o in moto, attraverso paesaggi naturali selvaggi, occasionalmente inseguito da milizie fanatiche e i fantasmi dei morti, e che più che combattere è concentrato sul bilanciare i carichi mentre cammina su ponti sospesi o scala pareti rocciose. Più, una dimensione parallela orrorifica in cui siamo precipitati al posto del Game Over, caratterizzata da uno stato di guerra perenne. Ecco, questo è un altro spunto interessante: non si vede spesso un videogioco che tratta la guerra come un orrore insopportabile, e usa gli scenari bellici come un surrogato letterale dell'inferno, in cui non vorremmo restare nemmeno un secondo.
Tutto insomma ci parla di una visione trasformativa del mezzo videoludico e del genere fantascientifico, che ultimamente appaiono assai retrogradi.
Death Stranding a questo punto potrebbe anche non uscire mai, e mi potrei considerare già soddisfatto così.

Lo-Rez: arte, storia, web design
01 . 06 . 2019

IBN 5100

Steins;Gate non nasce anime, ma Visual Novel. Le Visual Novel sono un particolare genere di videogiochi in cui fai poco o niente se non cliccare cliccare e andare avanti per scoprire la trama. In pratica, sono come dei JRPG in cui il livello "facile" viene configurato da un occidentale che ha paura che i bimbini gli facciano la recensione negativa sui siti che contano. Quanto la Visual Novel possano effettivamente considerarsi videogiochi e quanto no è questione che lascio ai risolutori più abili. Quello che conta nel nostro caso è che lavorare a una Visual Novel permette di impiantare una trama comunque piuttosto approfindita e articolata. Per questo, anche prima del giudizio, è legittimo sperare che la storia della trasposizione anime valga la visione, anche come pura riproposizione del media originale.
Qual è quindi la trama (con SPOILER) di Steins;Gate? Presto detto: Rintaro Okabe è un giovanotto con fervida immaginazione. Si è proclamato scienziato pazzo e ha aperto un laboratorio dove costruisce gadget assieme al "superhacker" Daru e l'"ostaggio" Mayushi. Tutte le sue idee sono poco più di fantasie adolescienzali se non fosse che l'unione più o meno accidentale di un microonde con un telefono si rivela essere una vera e propria macchina del tempo, capace di spedire mail verso il passato. I primi esperimenti con questa macchina portano i protagonisti a incrociarsi con la ragazza prodigio Kurisu Makise e a scontrarsi con un complotto ordito dal Sern (ehm...) di Ginevra per usare la macchina del tempo come arma per plasmare una distopia.
Steins;Gate è, quindi, un anime sui viaggi nel tempo eppure gli espedienti usati riescono a tenere sotto controllo il fatto così che la trama non dia mai l'impressione di collassare sotto i paradossi. I messaggi alterano bruscamente la timeline (e solo Okabe se ne accorge grazie a una sua non spiegata capacità) e quando poi è proprio il protagonista a viaggiare lo fa all'interno della sua mente e quindi anche qui il livello di ingarbugliamento rimane limitato. Ovviamente si arriverà anche a cedere alla tentazione di un bel viaggio come si deve, ma questo non inficera la solidità della trama generale. Questo rappresenta già uno dei suoi pregi, perché il modo in cui tutto il rimbalzare lungo la linea temporale viene disegnato rende piacevole seguire il dipanarsi della vicenda, anche quando ci si incastra in dei veri e propri giorni della marmotta o quando la volontà del tempo appare qualcosa di non solo meccanicistico, ma finalistico.
Il personaggio di Okabe, poi, è il secondo pilastro e, inizialmente, uno dei più grandi difetti di Steins;Gate. Il problema principale è che Okabe ha qualcosa intorno ai 18 anni, ma considerando il camice da scienziato (pazzo) e la barba incolta purtroppo dà un'impressione iniziale di essere più grande. in questo senso non si spiega perché sia impegnato in un'attività così campata per aria come il laboratorio segreto e suonano come delle vere psicosi i suoi giochi con "l'organizzazione" e le parole buffe. Quando però si capisce che in realtà parliamo ancora di un ragazzo che sta uscendo dall'adolescenza, allora non solo tutto rientra perfettamente nelle meccaniche proprie della sua età, ma l'intera sua parabola si fa preziosa, perché non riguarda solo "giocare a conquistare il mondo", ma anche costruirsi dei rapporti di amicizia e pensare agli altri, in un processo di maturazione anche qui estremamente intelligente.
Steins;Gate è, in conclusione, un'ottima opera. Vale sempre che se siete più nerd con più tempo da perdere potreste fare più bella figura a recuperare il Visual Novel invece di guardarvi l'anime. Se però siete pigri l'anime è un ottimo prodotto, con una grafica che non deve fare grandissimi sforzi, ma che è pulita e forse sbaglia solo un po' nel charadesign, confondendo le idee sul'età dei personaggi più di quanto meriterebbe il racconto. Le musiche rientrano nella norma.

“Deceive you other self, deceive the world. El Psy Congroo”

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