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907, 09/03/2019 - Quadrato di quadrato
907
09 . 03 . 2019

HIGHER FURTHER FASTER

Gödel anche oggi sfida il diabolico Direttore, per di più nella sua tana, irridendolo con la numerologia. Che poi in effetti non è un criterio meno sensato di tanti altri, prodotti a forza di riunioni e caselline colorate su fogli Excel.

Il lettore modaiolo sarà tentato di credere che, con un titolo così, questo editoriale sarà dedicato al film della Marvel, che si chiama Captain Marvel. Da bravi bambini abbiamo fatto coipa e incolla dello slogan ufficiale sul poster del film, per compiacere i nostri padroni... e invece no! Plot twist!
Non si parlerà su questa colonna di un film del genere, per mantenere nel nostro piccolo una dignità, anzi un sussiego, e poi perché negli anni la saggezza mi ha fatto imparare a temere di pronunciare certe parole, e perfino di formulare certi pensieri, che potrebbero attrarre l'attenzione malevola dei Grandi Antichi, il cui potere non conosce limiti: altri scrittori su internet hanno commesso l'errore di usare i termini proibiti, incorrendo nelle ire di un male cosmico al di là del tempo e dello spazio, e subito sono stati consumati dall'odio sconfinato della Bestia: Colei Che Non Deve Essere Nominata, se non seguendo il copione già preparato dai Suoi esperti di marketing e dato in pasto alla stampa ubbidiente, che in alcuni antichi tomi maledetti è chiamata... Disney.
Quindi no, frega nulla di questo film di superoi come degli altri: e del resto sarebbe ontologicamente scorretto (!!!) dare a questo film la dignità di una recensione come se si trattasse davvero di un film, che inizia e finisce e ha qualcosa da dire. Perché questi film che ci bombardano da cento anni sono da considerarsi alla stregua di episodi di una serie, e nulla più: può esserci l'episodio carino e quello più insipido, ma nessun episodio è fatto per essere visto da solo.
Detto questo, i braccialetti e le magliette e gli orologi marchiati Captain Marvel sono davvero molto carini, nel loro genere. Se conoscete una donna comprateli. (Non riesco nemmeno a concepire la possibilità che voi stesse che state leggendo siate donne, ma nel caso mi perdonerete, e ve li comprerete da sole.)

Ma in realtà io questo titolo volevo riferirlo a Devil May Cry 5. Ma quanto sono disperato?
DMC5 è appena uscito e la gente non sa se rallegrarsi di più per il gioco in sé, che è un capolavoro magno, oppure perché CAPCOM che lo produce è finalmente tornata ai fasti di un tempo, avendo infilato uno dietro l'altro dei titoli stupendi come Monster Hunter World, Resident Evil 2 Remake, e poi questo qua.
Da parte mia non posso che apprezzare entrambe le cose: come faccio a dire di no a un gioco giapponese, a un picchiaduro raffinatissimo, a un gioco pieno di chara-design bellissimi, a un gioco con le sequenze di intermezzo più smargiasse che si siano mai viste dai tempi di Devil May Cry 4?
Mantengo solo un appunto, che avevo fatto anche a suo tempo, sul nuovo chara-design di Lady: proprio non riesco a farmelo piacere, ridatemi la Lady di una volta, grazie, ciao.

Lo-Rez: arte, storia, web design
09 . 03 . 2019

L'angelo della battaglia

Quando parliamo di Alita (con gli spoiler, ok) parliamo di un progetto i cui rumors cominciano almeno una ventina di anni fa, qualcosa che, per James Cameron, ha rappresentato a lungo una vera e propria ossessione. Quando nel 2000 uscì Dark Angel, serie da lui prodotta, qualcuno vi vide dentro l'anima di quella ragazzina adolescente supersoldato che deve imparare a sopravvivere in un mondo futuristico senza speranza. Quando poi nel 2010 il regista si consacrò dominatore della fantascienza d'alta qualità con Avatar si disse che finalmente aveva raggiunto il livello tecnologico per realizzare il suo sogno.

Se effettivamente Cameron fosse riuscito a portare su schermo la storia dell'angelo guerriero quando era maggiormente infiammato dall'ispirazione sarebbe stato qualcosa di clamoroso: portare a Hollywood un classico dei manga (del 1990) con una produzione ad alto budget e un regista di prima scelta in un tempo che a stento si accorgeva dei film d'animazione prodotti in estremo oriente. Oggi, invece, in quest'epoca post-nerd che non disdegna nulla e che quindi ha già da tempo imparato a maneggiare il materiale giapponese (come per esempio con la realizzazione del film di Ghost in the shell (2017)) accettiamo l'uscita del film di Alita con molto meno clamore. E' anche indicativo come Cameron non sia in cabina di regia, ma abbia ceduto la sedia a Robert Rodriguez, che sicuramente in questo film è una specie di facente funzioni di regista, supplente che non lascia sul film la sua impronta, ma che anzi sembra avere una todo list lasciatagli da Cameron che segue diligentemente. Il risultato è un lavoro di direzione pulito, che non rimarrà nella storia, ma che almeno, di contro, non rovina l'esperienza.

Cos'è Alita? Alita è una storia sulla decostruzione del corpo, dimostra come sia poco importante di cosa si è fatti e di come la nostra identità vada oltre la carne che ci compone. Lei stessa, in fondo, è quasi completamente macchina eppure, nel fumetto come qui, ci si spinge molto a presentarla come una fresca e ingenua adolescente, persa nelle prime cotte e nella scoperta del mondo. Anche a questo, a mio parere, serve la scelta di allargarle gli occhi in CG. Nel contesto del disegno manga gli occhi larghi rappresentano un tentativo di rendere i personaggi più kawai. Quella fatta in Alita è una sperimentazione dello stesso meccanismo applicato a un contesto live-action. Devo dire che, alle prime immagini, ero rimasto molto perplesso dalla resa di questa soluzione, ma lo scorrere del film mi ha convinto. Il viso di Alita, alla fine, risulta effettivamente esageratamente carino e questo è funzionale sia alle scene dove si dimostra più adolescenziale sia a valorizzare il cambio di registro quando si trova a combattere. Nel cambio di registro, in fondo, sta la forza del personaggio e la ragione del suo successo trentennale. Alita è sia la ragazza della porta accanto sia il più forte guerriero della Terra e, soprattutto nelle prime fasi della sua storia, il modo in cui queste due identità si sovrappongono tengono in piedi l'impianto narrativo che, in fondo, è composto di una rete di topos piuttosto semplice.

Rispetto alla storia del manga ci sono due importanti variazioni: l'introduzione della famiglia di Ido, con la figlia morta e la moglie convertita ai cattivi e il Motorball, che nel cartaceo rappresenta il secondo storyarch del personaggio, mentre qui compenetra il primo. Per quello che riguarda il primo punto non c'è molto da dire, il background di Ido rende più facile a Waltz l'opera di renderlo interessante e la Connelly fa un ottimo lavoro nella (pur scontata) evoluzione del suo personaggio. Dispiace invece un po' per come il Motorball diventa un corollario frettoloso, più che altro perché, devo ammetterlo, ho un certo fetish personale per gli sport ultraviolenti futuristici. La resa delle scene è ottima, ma si sente come tutto sia piuttosto accessorio. In ultimo, il Nova Deus ex-machina di Salem è un po' più carismatico dello scienziato pazzo rinnegato del manga. Per vederlo veramente in azione dovremo aspettare l'eventuale seguito, ma la variazione rispetto all'originale non appare fatta senza intelligenza.

A conti fatti Alita è un buon film di fantascienza, il grande artigianato di Cameron, sotto sotto, si vede e tutto funziona senza sbracare. Non è, però, la realizzazione del sogno di James, evidentemente, perché è un film piuttosto "piccolo", sotto diversi punti di vista. Nato probabilmente nella testa del regista come masterpiece di fantascienza (alla Avatar) si è ritagliato in conclusione un posto come gioiellino di supporto. Non c'è in realtà nulla di male in questo, probabile che, dovendo scegliere tra questo e i mitologici seguiti di Avatar, Cameron abbia deciso di gettarsi anima e corpo in questi ultimi, trovando però modo di portare a compimenti quello che deve aver sempre visto come un obiettivo mancato della sua carriera. Visto che ormai noi nerd inaciditi siamo lontani dalle ribalte importanti e dai palchi che contano non ci dispiace nemmeno tanto stare qui a elogiare una pellicola di basso profilo, che però ci siamo goduti anche perché abbiamo trovato intatta quella mentalità genuinamente nerd che deve essere stata motore primo dell'idea già decenni fa.

“I'd do whatever I had to for you. I'd give you whatever I have. I'd give you my heart.”

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