Strip
serie
625, 20/07/2013 - Destrezza
625
20 . 07 . 2013

Lui è analogico!

Fa bene il nostro Cloud ad essere così esaltato: sono arrivati anche quest'anno i giorni di gloria per gli appassionati di giochi di combattimento uno contro uno, perché questi sono stati i giorni dell'EVO 2013.
Di solito non seguo lo sport, ma quest'anno per la prima volta ho guardato in diretta qualche minuto dell'evento più importante del genere, l'EVO appunto, il campionato mondiale che si tiene per tradizione a Las Vegas. Un fato benevolo ha voluto infatti che le finali di King Of Fighters XIII si tenessero in un orario favorevole anche con il fuso orario nostrano (la domenica in prima serata), e per coincidenza KOF XIII è appunto il titolo che mi interessa di più (essendo in 2D coi pixel disegnati a mano e tutto il resto).
Del resto sono stato al posto che mi compete: in poltrona a guardare gli altri giocare. Sono sempre stato un tenero in questo genere, perfino quando ero all'apice della mia carriera di videogiocatore... figurarsi ora che mi sono quasi del tutto ritirato dalla scena attiva. In altre parole non ho potuto apprezzare che un briciolo di quanto accadeva sullo schermo, essendo troppo ottuso per cogliere le raffinatezze tecniche. Quando al penultimo round uno dei contendenti ha selezionato Mai, l'ovazione di cori osceni che si è sollevata tra il pubblico (in chat, non nel salone nel Mondo Reale) mi ha ricordato che qui come nella maggior parte delle manifestazioni videoludiche dominano i quindicenni assatanati, di qualunque età.
Ma il divertimento è anche questo.

Sono felice, in cuor mio, di aver avuto l'opportunità di partecipare questa settimana a un'altro evento, seppur anche in questo caso da spettatore in panciolle. Si tratta dell'Evento cinematografico che definirà questi anni: e questa forse è una testimonianza di più della miseria nera in cui da parecchio tempo ristagna il Cinema, almeno di un certo tipo.
Il principale motivo di esaltazione attorno a Pacific Rim, infatti, è che si tratta di un'opera originale, non di un seguito o un prequel o un rifacimento o un adattamento cinematografico di un libro, di un videogioco, di una linea di giocattoli, di un telefilm.
Se si cerca un film recente che non rientri in una di quelle categorie, in effetti, si rimane con il vuoto assoluto, una desolazione creativa che fa tristezza. E allora ben venga un'opera nuova, magari piena di difetti ma almeno nuova. Pacific Rim ha ovviamente il suo carico di difetti, ma almeno dimostra un certo coraggio, e questo da solo basta a conquistargli un posticino nel nostro cuore sempre più indurito. A me il regista in questione non piace granché, ha sfruttato un millesimo del potenziale di Hellboy nei suoi film, ma qui ha fatto un lavoro onesto, con tutti gli elementi che ci si aspetta.
I dialoghi sono raccapriccianti al punto che volevo stordirmi sbattendo la testa contro la poltrona davanti per non sentirli più, ma così è del resto per tanti dei film che oggi riteniamo di culto, compresi gli intoccabili Guerre Stellari. Alla cinquantesima volta che si sente citare la “stretta di mano neurale” viene da rimpiangere Shinji Ikari e il suo frignare senza senso. Personaggi e trama non sono banali, sono talmente scontati da trascendere questo film e diventare il modello stesso del genere, e incredibilmente questa è una cosa che si apprezza perché è come cantare il ritornello di una canzone sentita un milione di volte a un concerto.
Nel complesso quindi riteniamoci fortunati perché la nostra generazione ha potuto vivere questo commovente omaggio al peggio che la cinematografia giapponese abbia saputo produrre dagli anni '50. Come sempre avrei voluto che si osasse di più, che si uscisse dagli schemi del film estivo fatto per far comprare più biglietti possibile... dopotutto non c'è limite alla profondità dell'idiozia che si poteva rappresentare sullo schermo, con un materiale simile su cui lavorare. Avrei voluto 500 episodi dei cartoni animati di robottoni di una volta, tutti concentrati insieme. Ma non so nemmeno io in realtà che film avrei voluto vedere. Tanto vale accontentarci di questo, è il meglio che abbiamo.

Lo-Rez: arte, storia, web design
20 . 07 . 2013

Diamoci la manina neurale

Avendo visto Pacific Rim ormai sabato scorso ho avuto un mucchio di tempo per riflettere e quindi se era il caso di non parlarne. O meglio, fregarmene di tutto e dirvi quello che volete sentirvi dire, ovvero che è un film bello, adrenalinico, ignorante, pieno di robot giganti che picchiano dei mostri, con effetti speciali da sturbo e pieno di trovate divertenti. Avrei potuto fare così, dirvi queste semplici parole, sottolineare una colonna sonora sontuosa, con la sua marcetta essenziale, ma che ti entra in testa e farla finita. Non vi avrei detto bugie, non sarei stato vigliacco, io penso realmente tutte queste cose, questo che ho scritto è una realistica, sincera, precisa, completa recensione di ciò che è stato per me Pacific Rim.

Ma cerchiamo per un momento di comportarci da persone mature. Questo editoriale lo leggeranno i soliti quattro gatti, non lo linkerà nessuno, nessuno si metterà a discuterne e allora perché non buttarci dentro proprio tutto quello che penso, anche quella parte un po' stronza, snob e cattiva che sta sul fondo, quella che è uscita da Pacific Rim incazzata, ma incazzata in un modo infantile e irrazionale e che ha continuato a masticare amaro vedendo che, nell'epoca del tramonto dei nerd, si cerca di elevare questo film a vessillo di una nerditudine in realtà assente. Parliamo di Pacific Rim. Diciamo tutto di Pacific Rim. Anche quelle cose che non vorremmo sentirci dire

Hype. Quando ho tirato in ballo l'hype per Man of Steel c'erano dei presupposti molto diversi. Man of Steel poteva essere tutto o il contrario di tutto, ma era stato sollevato magistralmente da ciò che aveva intorno al ruolo di film eletto. Ha fallito perché era un brutto film, avrebbe potuto non esserlo, ma tutto si consumava all'interno della dialettica cinematografica. Man of Steel poteva essere un buon film, è stato un brutto film, è e rimane soltanto un film, nessuno gli ha chiesto di più.
Pacific Rim ha tirato in ballo i robottoni giganti. Dimentichiamoci di Transformers un momento (ci torneremo) e andiamo all'origine del discorso: i robottoni giganti sono un'immagine strettamente giapponese che l'occidente non ha mai fatto veramente sua. Questo significa che hanno una loro estetica e poetica che l'occidente non domina, ma mancano anche di certi mezzi per uscire dallo stream delle giapponesate. Vorremmo i robottoni per noi, vorremmo che qualcuno ce li portasse in casa. Pacific Rim prometteva quello, Pacific Rim doveva fratturare lo zeitgeist e modificare la visione del mondo. Questo era il suo compito nerd, qualcosa che andava oltre essere un film. Sono buoni tutti di essere un film. Pacific Rim doveva essere un'idea, doveva far vedere ai palcoscenici cinematografici mondiali che la nicchia degli appassionati di robottoni giganti poteva parlare a tutti, poteva far si che i robottoni giganti fossero adottati come elemento di intrattenimento nell'immaginario collettivo. No, Recchiò, fanculo i bambini. Pacific Rim diverte i bambini? Certo che li dirverte. Grossi robottoni che si picchiano! Ma divertire i bambini è facile (Cattivissimo Me 2 è davanti a Pacific Rim in tutte le classifiche di incassi). Pacific Rim doveva insegnare ai bambini un sogno nuovo, doveva farli crescere con la fottuta voglia di salire su un robottone gigante. E questo no, non ci siamo, non ci siamo proprio.

Non state capendo? Mi sono infervorato troppo presto? Giriamola di qua: Pacific Rim è la migliore americanata dell'anno. Segue tutto il manuale: vedi due fratelli e uno muore. C'è la straniera accettata e cresciuta nella multirazzialità. Ci sono tanti tipi scemi e muscolosi e buoni come il pane, c'è la pistolata ecologica, i professori universitari fanno ridere e prima di spaccare il culo ai cattivi c'è un tizio che sale su una montagnetta e fa un discorso figo. Alla fine ci sono esplosioni che ci fanno capire che abbiamo proprio vinto e eroici sacrifici che ci insegnato che bisogna anche soffrire per la libertà. Poi si, accidentalmente, visto che un'americanata deve averci dentro una stronzata grossa come una astronave aliena gigante, la fine del mondo, un popolo di creature azzurre di tre metri e roba così, questa qui ha dei robottoni giganti, nel senso che il boom boom crash lo si fa con dei cosi di X metri (con X variabile a seconda dell'inquadratura) con sopra gente buona che, se non è il protagonista, rischia di morire di brutto.
Vi sembra questa la descrizione del film-svolta della nostra epoca? Non lo è. Perché Pacific Rim non è una svolta. E' l'americanata estate 2013. Una bellissima americanata. Una bellissima americanata per uno come me che adora le americanate. Davvero. Divertente vederlo, giuro. E' un sette in pagella senza rimorsi.

Ma non è un film sui robottoni, vi prego. Non ditemi che è un film con riferimenti al mondo dei manga, perché è una balla colossale. Non raccontatemi che parla una lingua nerd e ha messagi subliminali per eletti. Cioé, credetelo, magari vi ricordate un pochino di Megaloman e Izenborg (che sono le vere serie di riferimento del film, probabilmente mai citate da nessuno) e dite che si, ci assomiglia. Ma non venite a parlarne con me, che ho all'attivo una mezza dozzina abbondanti di serie di Gundam, quella palla di Evangelion (che qui però val la pena difendere) e una sporta di altre macchine di cui non sapete niente.
L'intrattenimento giapponese si basa principalmente sull'estetica. Le situazioni, le armi impiegate, le trovate fantascientifiche, spesso anche le sceneggiature, sono subordinate a un certo gusto estetico che è qualcosa di viscerale, subliminale, subdolo. Daitarn III è uno dei robot che ha avuto più seguito in Italia. Il venti per cento di Daitarn III è composto da Aran Banjo che entra con la MatchPatrol nel Daitarn, nella sua trasformazione, nel discorso di dichiarazione di guerra e (dopo alcuni minuti di formali cazzotti) nel lancio dell'energia solare. Per quaranta episodi sempre le stesse sequenze. E sapete perché? Perché erano quelle sequenze l'essenza di Daitarn III, era quello che lo rendeva un robottone gigante nel vero senso della parola. La possibilità di esporsi, di atteggiarsi figo, di dichiarare armi totali che dovevano essere usate solo al culmine della battaglia, all'apice del climax. In Daitarn III quello che avveniva era annodato con quello che il cartone voleva trasmettere. E quello che voleva trasmettere era che tu, da grande, volevi diventare Aran Banjo e urlare quelle stesse, stramaledette frasi mentre il nemico esplodeva.
Parlo di Daitarn III per mettervela giù semplice. L'estetica si complica con i Gundam, gli Evangelion e quant'altro. Il meccanismo è più sottile, ma siamo sempre lì. Tu non fai una cosa perché è quello che va fatto per guidare un robot gigante. Tu fai una cosa perché è figo farla e il fatto di farla rende necessariamente figo guidare un robot gigante. E' sottile, sottilissimo il meccanismo, non è un caso che Hollywood non lo abbia afferrato in generale e che Del Toro nemmeno ci abbia provato. Ma è questo che rende i robottoni giganti quello che sono.
E, probabilmente ho sbagliato io, era questo che volevo da Pacific Rim.

Potrei affrontare altre cose, come il rapporto con Transformers che poi è più il rapporto tra Bay e Del Toro, ma credo che passarvi un concetto solo sia più onesto, anche in questo fiume incontrollato di testo. Spero che mi capiate. Pacific Rim è un bel film. Lo giuro. Ma da grande non voglio guidare un Gipsy Danger, mi spiace.

“Sono così indie che il mio nome su facebook è il nome della mia band, anzi no, è il nome del mio progetto hardcore parallelo: Giorgio Gabber versus Luigi Techno”

Cymon: testi, storia, site admin