Strip
serie
1154, 09/03/2024 - Akira Toriyama - RIP
1154
09 . 03 . 2024

Un profeta

Su un'isoletta lontana, sperduta dall'altra parte del mondo, viveva un maestro che ha influenzato la nostra infanzia come e più che se fosse stato presente accanto a noi.
Tale è il potere dell'arte. E agli antipodi dell'arte si colloca questa strip in memoria, perché tanto era inutile cimentarmi in un omaggio più elaborato.

Viviamo tempi che corrono in fretta. Non ha più senso neanche parlare di “epoca”, perché le epoche sono sempre durate millenni o secoli, ma ora al massimo si misurano nella vita media di un telefonino.
Eppure dobbiamo pensare che l'influenza di certi artisti si estenderà oltre l'orizzonte delle nostre vite, per secoli a venire. È sempre stato così. Toriyama è il primo candidato dei nostri tempi, perché ha inventato generi e ha formato milioni e milioni di altri artisti.

Dune: Seconda Parte è un film che ambisce a restare nell'epoca più che nel momento, è questo è lodevole di per sé. Non mi ha acceso la famosa Grazia nel cuore, purtroppo, se non nella scena iniziale: virata nei toni della terra, in un arancione acceso e crudele, con le armature nerissime che calano e ascendono senza peso, la paura del topolino nascosto e braccato, i raggi verde pallido come nelle copertine dei libri di fantascienza degli anni '60.
La scena iniziale è di un manierismo che mi ricorda quella di Ran, è estetica da cinema che è impossibile ridurre a uno schermino o anche allo schermetto che ingombra il salotto: come ci fa notare il saggio Maestro Kojima, questo film è un atto di ribellione disperato contro streaming e telefonini... un Profeta che grida nel deserto.
E però io da un film tratto da un libro impregnato di droghe psicotrope volevo qualche visione un po' più visionaria, non il freddissimo raziocinio di quest'opera. Se Paul deve scatenare la Guerra Totale Galattica, ma dammi almeno qualche fotogramma di astronavi in fiamme ai bastioni di Orione! E invece no, niente astronavi, niente computer umani o Gilda dei Navigatori.
Ma no, sarebbe ingeneroso chiedere di più a un film dalla messinscena già così grandiosa, così opulenta, che su Giedi Prime toglie il fiato con un'inventiva che si vede di rado (in Blade Runner 2049, in effetti).
Rimpiango anche la mancanza della scena terrificante e grandiosa con protagonista la sorellina Alia: ma per averla bisognava preservare l'intervallo temporale di molti anni che c'è nel libro, e che qui è stato sacrificato ai tempi compressi del cinema. Al suo posto, una scena finale di impatto molto minore.
E infine questo film è ferito da tagli vistosissimi, e avrebbe giovato di un montaggio più spezzato e frammentario, che giocasse coi piani temporali come l'ormai celeberrimo Oppenheimer: c'è un profeta che vede il futuro e contiene in sé i ricordi di tutte le vite umane, era l'occasione perfetta!

Ma mi arrabbio solo perché hai tanto potenziale, Dune 2, e vorrei vederti crescere fino a diventare la Trilogia di Riferimento di questa, ehm, “epoca”... e raccogliere l'eredità pesantissima di ben altre Trilogie.
Che ironia: quell'altra Trilogia stellare a sua volta è stata tantissimo debitrice dei libri di Dune.
Sarebbe anche un contrappunto filosofico interessante al Signore degli Anelli, viste le filosofie diametralmente opposte di Tolkien e Herbert. Ma fin qui ne siamo rimasti un po' lontani: manca un po' più di sentimento, in questi film. Pensare che invece in campo letterario era Tolkien quello precisissimo nella ricostruzione verosimile di tattiche e guerre, mentre Herbert rigurgitava assurdità anti-storiche sul fascino dei guerriglieri ribelli.
In tutto ciò, se invece dei titoli di coda avessero attaccato subito con altre tre ore di Dune Messiah, non avrei battuto ciglio. Pazienza, ci rivediamo nella prossima epoca.

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09 . 03 . 2024

Spice must flow

Checché ne dica la gente insipiente dell'internet, un adattamento cinematografico è una questione di scelte. Quando si ha un prodotto in un altro formato, come per esempio il romanzo, quello che si deve veramente cercare, nell'adattarlo, non è la completa aderenza, ma una via per dare una lettura che colpisca lo spettatore. Perché il romanzo ha i suoi tempi, i suoi modi e i suoi interessi, il cinema ne ha altri.

Quando uscì la prima parte di Dune ne fummo contenti, ma non entusiasti. In realtà a quei tempi Villeneuve non aveva ancora scelto, anzi, aveva fatto una scelta molto astuta, col senno di poi, quanto anomala. L'intero primo film di Dune (che comunque è una considerevole mattonata di due ore e mezza) in realtà non era un film di Dune, era una specie di album fotografico, una guida per immagini al suo universo, una giustificazione per certe dinamiche che permettesse di dare per acquisiti certi concetti. Era un film che dal punto di vista tecnico puntava al sublime, ma che narrativamente era quasi nullo, composto di cose belle da vedere e da mettere una accanto all'altra. Villeneuve finisce il film e chiede: bene, avete capito di cosa stiamo parlando? Perfetto, per il film vero passate tra un paio d'anni.

Per Villeneuve Dune è la parabola di Paul Atreides dall'essere il goffo rampollo di una casa nobiliare con la puzza sotto il naso al diventare il punto d'arrivo delle profezie di più culture, nonché la guida di una ribellione pronta a incendiare l'universo. Per Villeneuve questo significa raccontare la storia di un popolo, la storia di persone, reimpastata di superstizioni e sabbia, una storia così vicina al suolo arido di Dune che l'intera dimensione galattica e sovrumana dell'opera scompare, non perché sia resa male, ma perché a lui non interessa. L'intera mitologia lisergica della spezia (di cui avevamo già sentito la mancanza nel primo film) viene più o meno ignorata così come perdiamo completamente di vista la figura dei Mentat e i personaggi di Casa Corrino diventano più la metafora di un mondo lontano che reali persone. Dune è il film di un popolo che trova il suo profeta e si solleva contro l'invasore.

La dimensione mistica si trasfigura, la figura di Stilgart diventa fin troppo fanatica (permettendo però a Barden un'ottima prestazione) e Chani diventa un contraltare materiale che funziona bene per impedire al pubblico di cedere a una visione magica che Dune non merita. Jessica, spietata e cinica, non è più strumento degli eventi, ma reale manipolatrice della situazione, quasi più della Veridica dell'imperatore, nascosta dietro il velo a tracciare le sue linee di sangue. Lo stesso Paul, nella sua ascesa a Kwisatz Haderac non acquisisce niente di soprannaturale se non la determinazione a portare avanti l'agenda Fremen a discapito delle grandi case.

Herbert ha scritto Dune saccheggiando largamento dall'immaginario musulmano e le scelte di Villeneuve fanno sì che il film si appiattisca quasi sulla riproposizione di una specie di riscatto islamico in cui tutta la mitologia coranica trova realizzazione. Non vedo in questo un intento politico, credo che sia qualcosa che emerge dal punto di vista usato dal regista più che dalle sue intenzioni, ma a tratti, anche considerando i tempi presenti, è impossibile non sentire una certa inquietudine nei contatti che hanno certe immagini col reale.

Scelte, dicevamo. Hanno pagato? Le scelte pagano sempre più dell'esitazione e in questo caso hanno pagato moltissimo. Dune è un film viscerale, che finalmente coinvolge e tiene lo spettatore aggrappato a sé. Racconta una parabola coinvolgente emozionando e permettendo di provare empatia per i suoi personaggi. Riesce addirittura a dare una tridimensionalità a Beast Rabban e rendere Chani un personaggio con una sua indipendenza dalla persona di Paul. E' una cavalcata che, da amante del romanzo, ho apprezzato in tutti i suoi aspetti anche perché, avendo appunto l'intelligenza di privarsi di alcune cose, riesce a mettere tutto l'impegno necessario per dedicarsi alle altre. E' un imponente film di fantascienza che non ha bisogno di orpelli o universi espansi, pur col suo finale aperto e che sopravvive anche senza la prima parte, nei termini in cui ne abbiamo parlato.

Certo, Villeneuve rimane un pessimo regista di battaglie, visto che lo scontro finale apppare come una sequenza di semplificazioni e stavolta sono i Sardaukar che, dopo essere apparsi come creature quasi mostruose nel primo film, qui si fanno sorprendere in pigiama. Avrei qualche appunto da fare ai vermi e si può pignolare in infiniti ambiti, ma non importa, un film è un film anche per i suoi difetti, quelli di Dune fanno parte della sua identità senza rovinargliela.

Vorrei infine che la smettessimo di parlare del film di Lynch. Si sa che l'internet, appena sente qualcuno sanguinare, si getta sulla ferita felice di poter sbranare qualcuno di debole, ma il commentario a riguardo è tutto a sproposito. Perché anche in questa seconda parte lo script di Villeneuve è lo script di Lynch, parola per parola, con il romanzo di formazione di Muad'dib che sfocia nella sua consacrazione e nel grande confronto con l'imperatore. Villeneuve anzi sul finale per arrivare allo scontro con Feyd Rautha è un po' impacciato, ma proprio perché è l'unico punto di contatto con quella dimensione galattica che ha deciso di ignorare. Lasciate il film di Lynch alla sua epoca, con tutti i suoi deliziosi sbagli, e godetevi questo film che è fatto per questa e decisamente rappresenta il ritorno prepotente della fantascienza al cinema.

Dicono che Villeneuve rimarrà nell'universo di Dune per realizzare Messia. Ma Messia è un libro brutto. In un paio di angoli di internet ho sentito l'esortazione a fregarsene e passare direttamente a Imperatore-Dio. Forse è veramente quello che si dovrebbe fare, ma che non si farà. Un'idea pornografica per rimanere sulla nota di questo film potrebbe essere uscire dalla linea dei romanzi e fare un film sulla Jihad, che i libri saltano a pié pari. Forse però per qualcosa di così confuso andrebbe meglio (bestemmia bestemmia) una serie TV.

In generale Dune è arrivato per rimanere. Di nuovo. Eterno come solo uno dei capisaldi della fantascienza può essere. Di questo noi ne siamo contenti da vecchi romanticoni che siamo. Voi accontentatevi di andare al cinema a vedere il film. Perché è molto bello. Con gli altri discorsi lasciate che ci annoiamo noi.

“Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò.”

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