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1087, 05/11/2022 - Galadriel
1087
05 . 11 . 2022

Gente che si guarda malissimo

Gli Anelli del Potere ha funzionato a meraviglia, dicono, come espediente di finanza creativa per gabbare il fisco di molti paesi. Ma la Rabbia™ di questa Galadriel è la tomba della buona scrittura, è il riflesso della rabbia frustrata di sceneggiatori dilettanti che non sanno come si fa a costruire un personaggio carismatico.

Volevo tanto offrire su queste pagine un'opinione controversa, e invece devo condividere l'acrimonia di Cymon, che mi ha preceduto parlando di questa robaccia nella colonna qua di fianco. Abbiamo sfiorato un'altra occasione inquietante di sincronizzare (sempre alla cieca) gli argomenti dei nostri editoriali, ma la volta scorsa io dovevo celebrare la macabra ricorrenza parlando di certi annunci d'attualità... rimedierò oggi, ma giusto due righe, perché questo sito e la nostra stessa vita meritano di meglio che stare ad accanirci impotenti sulle cose che non ci piacciono.
E dunque chissenefrega della tua serie, Amazon, ma chi la voleva! La tua serie è un disastro tale che la mancata aderenza alle fonti originali è il minore dei problemi: forse anzi è l'unico di cui non possiamo fartene una colpa, visti i termini demenziali dei contratti di licenza.
Peccato che senza il faro di quella costruzione narrativa sapiente, gli incapaci assoldati da Amazon brancolano nel buio. Avevano un'occasione per fare qualcosa di “nuovo, vero e divino”; potevano dimostrare al mondo che il professore di campagna è invecchiato male, e creare il capolavoro di una nuova generazione; hanno fatto 'sta porcata.
Nella serie che vorrei io parlano in elfico coi sottotitoli, e l'inquadratura indugia per cinque minuti interi sull'erba e sulle rocce, sulle vesti fluenti gonfiate dal vento, come in un interminabile documentario di Malik ma con le sfocature e le moviole di Wong Kar-wai. Qualche coro di voci bianche di accompagnamento. E solo fonti di luce naturali, come ha fatto Kubrick in Barry Lindon.
Dialoghi: il meno possibile. Via i dilettanti, grazie.
Spettatori: uno solo, cioé io. Me ne rendo conto, e non coltivo vane speranze.

Nondimeno, ho voluto celebrare Galadriel con una illustrazione: mi piaceva il contrasto tra l'idea platonica della dea siderale, com'è nell'intenzione dell'autore, e quell'ossesso bavoso e di cattivo umore coi capelli spettinati come se si fosse appena alzata che si vede nella serie. A pensarci bene, c'era del potenziale comico notevole nell'idea di un'elfaccia maleducata e sboccata con addosso un pigiama sporco... in contrasto con quei poeti bellimbusti di Elrond, Gil-Galad e compagnia.
Se volete vederla meglio, ma non so perché dovreste, trovate l'illustrazione a grandezza originale nella galleria.

Cymon mi ha preceduto anche nel celebrare la serie concorrente, quella con i draghi. Anche su quella siamo d'accordo: uffa!
(Meno male che a me ancora non piacciono le maghette pervertite.)
Un paio di mesi fa, quando non avevo ancora visto nessuna delle due serie, avevo tantissima voglia di non vederle mai. Le odiavo d'istinto, le confondevo in un'unica nebbiolina di fastidio. E invece, pensa un po'! Ora ne ho guardata una e mezza, e quella con più piedi nudi (!) e meno orecchie a punta ha conquistato il mio entusiasmo recalcitrante.

Una serie che si può riassumere in: gente che si guarda malissimo.
Puntate intere fatte solo di: gente che si guarda malissimo. Un minutaggio spropositato dedicato a: gente zitta e imbronciata, facce brutte e tanto sale.
Un crescendo di acrimonia e cattivi sentimenti, come il peggior pranzo di natale in famiglia che si può immaginare.

Non ho familiarità con il materiale letterario, ma mi giunge voce che un paio di scene tanto spettacolari quanto imbecilli (sapete voi quali) nel libro non ci sono. Guardacaso, proprio quelle scene nel libro non ci sono. E poi hai voglia a mantenere la mente aperta, a tener lontani i pregiudizi, a svestire gli abiti ammuffiti di Quello Che Ha Letto il Libro™...
Ma in fondo mi stanno anche bene, questi rari e isolati momenti in cui la razionalità viene squartata sull'altare dello spettacolo: in una serie ad alto budget hanno il loro posto.

Dopotutto il potere, se non lo usi mai, va a finire che lo perdi.

Lo-Rez: arte, storia, web design
05 . 11 . 2022

Senso di sacrificio

Maghette procede spedito (vi ho detto che si aggiorna ogni martedì e venerdì e cascasse il mondo arriverà a conclusione?), ma in realtà l'argomento dei maho shojo è vasto e pieno di spunti, più di quanto voi crediate quindi oggi dedichiamo l'editoriale a un punto filosofico che volevo trattare da un po' di tempo.

Abbiamo parlato di Yuki Yuna is a hero non molto tempo fa. Questa serie mi ha suscitato una riflessione che non ci stava nel receditoriale, ma che ha un certo senso anche da fare a sé, tanto per annoiarvi con ignoranza, motivo per cui siamo qui.
Gli anime, come qualsiasi prodotto d'intrattenimento, sono qualcosa di leggero, sono spesso privi di quella profondità che hanno le vere opere d'arte o quella capacità di lasciare il segno nei nostri animi. Questo però non vuole dire che non possano dirci la loro sul mondo, anzi, in un certo senso si trovano molto più vicini allo zeitgeist del tempo in cui vengono prodotti, sono più rivelatori di ciò che accade nella testa delle persone e nelle masse. La domanda che dobbiamo farci per accedere a questa conoscenza non è tanto cosa sia un anime, ma perché, per quale motivo i creatori di questi prodotti e di conseguenza il pubblico seguano con pulsione quasi ossessiva certi generi, certe idee, un certo immaginario.
E' abbastanza pacifico, per esempio, che Gundam per molti anni sia servito ai giapponesi per elaborare il trauma della seconda guerra mondiale, però cosa rappresentino le maghette appare, soprattutto a noi occidentali, più criptico, l'assurdità stessa della loro esistenza (ragazzine vestite da imbecilli che soffrono), anche quando accettiamo di seguirne le storie, ci lascia perplessi.

Quando guardiamo alla prima generazione di maghette (Creamy, Magica Emy e tutto il cristinadavenismo arrembante) riusciamo facilmente a leggerci, principalmente, una sorta di esaltazione del sogno della ragazzina degli anni ottanta che, lungi dal voler salvare il mondo, voleva essere famosa, voleva fidanzarsi con il ragazzo più bello sulla piazza, voleva essere bella. Possono essere dei sogni sminuenti, visti con l'ottica un po' più disincantata (o woke?) del duemilaventi, ma indubbiamente erano i sogni su cui erano costruite certe storie. Le antiche maghette non combattevano e in gran parte si può dire che non soffrivano. Questo non significa che quel tipo di prodotti fosse meno crudele nel mettere a nudo alcuni aspetti della società che l'aveva partorito. Creamy e compagnia erano una fotografia estremamente realistica di quello che passava per la testa delle preadolescenti, che volevano mettersi con il ragazzo bello a prescindere dal divario d'età, sostanzialmente senza nemmeno capire cosa avrebbe significato, e vedevano le persone che andavano in TV come dei miti ammantati di magia. La magia che alimentava quelle maghette era la magia della società dell'immagine e se ci pensate in quei prodotti c'era una consapevolezza di quello che davvero significava abbandonarsi a essa che oggi è andato perduto. Nella cultura dei social diventare famosi vendendo la propria immagine è considerato la norma, non esiste più nessun fossato da scavalcare in qualche modo magico, non esiste più nessun confine invalicabile se non con l'aiuto di creature fatate. E si, sto parlando di bambine. Oggi è tutto più inquietante perché è tutto più normale, l'accessibilità al successo non ha più bisogno di uno scettro, ma comporta gli stessi rischi.

Avremmo, insomma, più bisogno di maghette prima generazione a spiegarci quale tritacarne spietato possa essere l'apparire, ma purtroppo il mondo dei manga/anime ha deciso che doveva raccontarci storie diverse e così è saltato sulla seconda e infine sulla terza generazione, la generazione che oggi possiamo vedere sui nostri schermi, ovvero la generazione delle maghette che combattono il male (come nella seconda), ma scegliendo di farlo si ritrovano vittime di una guerra sporca che le annienta e le tradisce.
Sotto un certo punto di vista da Creamy non è cambiato niente, si è solo presa consapevolezza. Perché, intendiamoci, la vita di Creamy è la vita di Creamy solo nell'ingenuità della testa di una preadolescente, una vera idol, invece, attraversa un'ordalia di sofferenza psicologica e fisica per arrivare a una mercificazione di sé stessa che, vista con occhio adulto, è inquietante. Questo è qualcosa che gli anime non raccontano, ma gli anime raccontano comunque di una ragazza che in giovane età viene elevata a un certo ruolo, un ruolo ambito, e nel momento in cui lo raggiunge vive indicibile sofferenza. E' una vittima sacrificale, in pratica, qualcosa che la società decide di mettere in una posizione terribile per proseguire nella sua esistenza.

Vittima sacrificale è effettivamente il concetto che più volte Yuki Yuna is a hero esprime, raccontandoci il modo in cui Yuki e le sue amiche vengono maltrattate dal sistema ancor prima che dai nemici.
Insistendo in questo concetto l'anime mi ha rammentato che sì, la cultura giapponese, molto prima dei maho shojo, è da sempre intrisa di personaggi femminili che si sacrificano per il bene della comunità, sacerdotesse insignite dei massimi onori che però servono per portare grandi sofferenze. Esistono molte feste popolari giapponesi in cui il centro dell'azione è proprio una sacerdotessa e in un certo senso è abbastanza credibile che le bambine e le ragazzine che partecipino vogliano essere quella persona al centro dell'attenzione, superiore a tutti, attrattore della devozione delle folle. La mia ipotesi è che sia stato questo tipo di evento e questo tipo di tradizioni, negli anni, ha formare l'immaginario delle preadolescenti e delle adolescenti cosicchè poi la televisione potesse raccontargli le storie delle maho shojo. Diciamo che, in un certo senso, nella mitologia e nella realtà magica giapponese, sono sempre esistite delle "ragazze magiche" che sono sempre state vestite in modo rituale (e quindi molto diverso dalle persone normali) e che la magia di cui si sono sempre ammantate può essere magia in un senso religioso, come anche trasformarsi nel lanciare fireball contro nemici mostruosi.

L'aspetto intrigante di questo ragionamento è che questo tipo di tradizioni non ha un reale corrispettivo nella cultura occidentale, sicuramente niente che possa intrigare le generazioni più giovani. Questo è uno dei motivi per cui ci approcciamo ai maho shojo sempre con una certa inquietudine, incapaci di considerarli qualcosa di realmente fruibile, perché manca proprio un pezzo di immaginario che ci permetta di colmare il vuoto tra la realtà e quello che raccontano.
Ovviamente questo non ha fermato mai gli otaku di tutto il mondo, le grandi serie con maghette sono sempre state amate in tutto il globo perché comunque c'è, istintiva, una certa predisposizione a saltare oltre il divario culturale, ma spiegare al grande pubblico perché delle quattordicenne debbano vestirsi in modo bizzarro per saltellare tra i tetti e spesso stato più difficile che raccontare come mai bisogna combattere a bordo di robot giganti.

Pensieri sparsi. Come spesso mi avete sentito dire sono un vero e proprio studioso dell'argomento maho shojo, che è un argomento come un altro, non più imbarazzante o meno imbarazzante di tanti altri. Penso che tutto quello che abbia successo vada analizzato, perché il successo dei prodotti mediatici è una parte di noi che si riflette in un'industria e noi siamo il mistero più bello da analizzare, nonché il più complicato.

“You hear him howling around your kitchen door / You better not let him in / Little old lady got mutilated late last night / Werewolves of London again / Ah-hoo, werewolves of London / Ah-hoo / Ah-hoo, werewolves of London / Ah-hoo, huh”

Cymon: testi, storia, site admin