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serie
794, 10/12/2016 - Internet delle cose
794
10 . 12 . 2016

Star Of Lucis

Allora, facciamo un bel respiro.
Il nostro povero cuoricino è andato in fibrillazione perché, capirai, è uscito il gioco che aspettavamo da dieci anni, ma alla nostra età dobbiamo andarci piano. Facciamo un bel respiro, cerchiamo di riportare il battito nella norma; le mani tremano un po', ogni tanto il nostro sguardo si perde nel vuoto, e quando parliamo la nostra voce si incrina per l'emozione, così senza motivo. Passerà.
Dato l'avvicinarsi delle festività natalizie, sarebbe molto facile per me oggi scivolare nella tentazione della blasfemia, paragonando l'avvento di Final Fantasy XV a ben altri Avventi, la sua diffusione come luce nel Mondo, tra le tenebre che l'hanno accolto solo in parte. Ma no, non lo farò.
La venuta del profeta degli RPG giapponesi è stata preannunciata da grandi cataclismi che hanno sconvolto il mondo: cose come un menu a tema nel ristorante più esclusivo di Londra (con tanto di illustrazioni originali incorniciate alle pareti), una veglia di vigilia nei cinema di tutto il mondo (e anche in Italia!), video musicali in cosplay girati dal vivo, o la messa in vendita di pochi esemplari di Audi R8 Star Of Lucis, l'auto ufficiale della monarchia di Final Fantasy XV, dedicata a quei due o tre magnati del petrolio che per combinazione hanno un erede a cui piacciono gli RPG nipponici. E tanto, tanto altro, ma non sono pagato dal marketing di SquareEnix per enumerare tutte queste iniziative, quindi mi fermerò.

Vorrei soffermarmi un momento su quella macchina. Usare marchi facilmente riconoscibili nei film per farsi pubblicità reciproca e recuperare almeno in parte i costi di produzione è un fatto consueto, lo faceva James Bond cinquant'anni fa. è più raro, però, il percorso inverso: che la fantasia dell'opera di intrattenimento sconfini nella nostra realtà materiale, in questo caso con una replica perfetta dell'automobile che si vede per pochi istanti in alcune sequenze del gioco (e del film). Non si tratta infatti della famosa Regalia che porta in giro i protagonisti, immortalata in tanti meme dai bambocci sui social network, bensì dell'auto privata del principino Noctis. Tra questa e l'abbigliamento originale disegnato da Roen, uno potrebbe (a un certo prezzo) immergersi completamente nel lifestyle del principe ereditario del regno di Lucis...
Davvero non scherzavano quando per presentare il gioco ci parlavano di “Una fantasia basata sulla realtà”, e anzi mai in trent'anni di intrattenimento elettronico abbiamo visto un legame così stretto tra la fantasia e la realtà, un traboccare così impetuoso della fantasia nella realtà.
Come se l'esperienza di Final Fantasy XV non fosse solo dentro un videogioco, come se l'illusione costruita con cura nell'arco di un decennio fosse diventata tanto minuziosa da spingersi fuori, ed entrare nel mondo.

Uno degli aspetti che più dimostrano l'ossessione per i dettagli di questo gioco schizofrenico è il minigioco culinario. Questo particolare sottogenere ha una sua tradizione consolidata nel panorama dei videogiochi orientali, ma è sconcertante l'abbondanza smisurata dei piatti di Final Fantasy XV, e l'incredibile rappresentazione fotorealistica di ciascuno di essi, tanto dettagliata da sembrare quasi pornografia del cibo. Come se a un team di stagisti vietnamiti fosse stato assegnato il compito di disegnare i piatti, una decina d'anni fa, all'inizio dello sviluppo del gioco, e poi, nel tumulto, nessuno si fosse più ricordato di loro. Senza qualcuno che gli dicesse di smettere, questi artisti hanno continuato per 10 anni interi a sfornare ricette e modelli 3D fotorealistici, indisturbati in uno scantinato di qualche azienda satellite di SquareEnix.
Ecco, mi piace pensare che sia andata proprio così.

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10 . 12 . 2016

Sunset One

L'internet delle cose distruggerà la nostra società. La minaccia posta dall'internet delle cose è tale da far impallidire la guerra fredda e l'inverno nucleare. Un giorno sarà il caso di parlarne, ma non oggi. Tanto c'è ancora tempo. Un poco.

La stampa videoludica sta realizzando in questi giorni che il mercato dei giochi triplaA è in crisi. Visto che questi giornalisti bricconi non leggono le nostre colonne (ma dai!) adesso si interrogano su come sia potuto accadere, quando invece certe cose le diciamo, inascoltati, da anni.
Innanzitutto cominciamo a dire che i giochi triplaA sono un'invenzione moderna, non proprio degli ultimi anni, ma sicuramente propria si e no delle ultime due generazioni di console (e parallelamente dello stesso periodo in campo PCista). Una volta i giochi triplaA non esistevano perché tutti i titoli dovevano essere triplaA. Il mercato era molto più piccolo di adesso e solo grosse corazzate pubblicavano titoli. Visto che loro si muovevano e muovevano assieme grossi mucchi di soldi, qualunque cosa facevano doveva essere un successo, doveva avere la copertina, doveva ridefinire il proprio genere.
E alla fine, proprio grazie all'ultimo obiettivo, era facile cavarsela. I generi erano molti più di oggi, ognuno aveva una sua quota di mercato e i suoi estimatori. Arriva a essere il "triplaA" del momento in un certo genere e ti beccherai la quota di utenti in palio. Un sistema molto più semplice, molto più sanguinario, molto più violento, come sempre sono le epoche che precedono la civilizzazione (non so, se non avete ancora capito, leggetene qua).
Oggi i triplaA sono una classe a sé, sostanzialmente corrispondono a un genere solo, che poi è l'action-adventure, che ogni tanto oscilla verso l'RPG, ogni tanto verso l'FPS, ogni tanto verso l'esplorativo. Non sono tutti uguali, ma bene o male si rivolgono allo stesso pubblico, la stessa puglia e visto che le major hanno fatto di tutto affinché questo monte utenti fosse enorme e vasto i loro titoli possono anche spartirselo. E' un banchetto a cui tutti mangiano, un ingegnerizzato ed efficiente sistema per tenere in piedi un'economia che ha preso a far girare tanti, tantissimo soldi.

Un sistema fortemente ingegnerizzato, però, genera dei side-effects che, fisiologicamente, cercano di intaccare la sua struttura. Le case di produzione, per tenere in piedi il sistema, devono per esempio rispettare i tempi d'uscita a ogni costo e, sostanzialmente, mettere a disposizione delle beta che, piano piano, allineano al risultato finito mediante patch. Per poter guadagnare soldi anche sul lungo termine a fronte di un investimento notevole anche di strutture, con sviluppatori sostanzialmente addestrati per anni a creare un certo oggetto, devono portare avanti una politica di DLC fatta da un mercato del pesce e quando la politica dei DLC non basta, gemmano nuovi giochi sostanzialmente uguali all'originale, ma con abbastanza differenze (piccole) da giustificare un numero incrementale sulla copertina.
Anche la politica dei prezzi è una partita a scacchi. I giochi escono prezzati in maniera assurda, certe cifre sostenute unicamente dal culto del day one (altro pezzo della macchina che scricchiola, oggi), poi raggiungono il loro valore sensato, ma rapidamente crollano. Crollano perché alla fine parliamo solo di videogiochi, effimeri sogni che vivono il momento. Se finiscono nel passato, il loro valore si avvicina a zero, rapidamente.

Come capita nelle macchine di Formula1, finché tutto gira a velocità elevata il sistema sta in piedi, ma perché sia così la pista deve essere ampia e pulita. Il mondo dei videogiochi, invece, diventa sempre più una strada trafficata, quindi anche il grande motore dei triplaA deve rallentare e appena ci prova si imballa, mostra tutti i suoi difetti e, fuori giri, rende meno di una Panda. La gente si è rotta i coglioni del Day One in cui il prezzo è alto e la qualità bassa (niente patch, niente DLC). La selezione di titoli un po' tutti uguali impedisce che ci si emozioni effettivamente quando esce capitolo x+1 di tizio/caio e quindi che l'isteria impedisca di giudicare criticamente cosa si ha davanti. Alcune serie, ipertrofiche, sono così ingombranti da impedire a altri di trovare spazio e sono condannate a ripetersi, anche quando la gente si è ormai rotta le balle.

Non c'è mica niente di male. Sarebbe peggio il contrario, sarebbe peggio se il sistema fosse arrivato a un tale equilibrio da non aver più paura di niente. In realtà si tratta solo di diversificare un po' l'offerta e, magari, cercare di colmare quell'enorme baratro tra il mercato indie e il mercato delle major, che lascia una quantità enorme di spazio.

“All'idea di quel metallo / portentoso, onnipossente, / un vulcano la mia mente / incomincia a diventar.”

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