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serie
770, 11/06/2016 - Sirena con la bocca
770
11 . 06 . 2016

Star Trek

Fanno tenerezza, i nostri poveri Ingegneri Neo & Gödel, aggrappati alle fantasie televisive per sopportare l'amarezza della loro professione.
Quando si arriva al momento della prova, spesso la fantasia è l'unica cosa che ci può salvare, noi come loro. Tutto il resto delude, ma le orecchiette a punta che abbiamo amato, i phaser e l'Enterprise ci sono fedeli e possiamo sempre ricorrere a loro nel ricordo.
Nel ricordo, badate bene: perché se ci affidiamo invece di volta in volta alle nuove iterazioni delle storie che abbiamo amato, rischiamo brutte sorprese.

Questo è vero a maggior ragione per Star Trek, una delle opere più brutalmente violentate dalla moderna industria dell'Intrattenimento. Se pure a me il primo reboot era piaciuto, lens flare e tutto il resto, perfino io con tutto il mio buon cuore non posso salvare Star Trek Into Darkness: mai titolo fu più calzante!
Ma io non sono mai stato fan di Star Trek, io preferisco la space opera stupida, Flash Gordon e Guerre Stellari e John Carter... posso solo immaginare quindi il trauma che le moderne rivisitazioni della serie hanno causato ai fanatici più duri (tipo magari Cymon qui di fianco).
A questo proposito devo dire che il trailer del prossimo film mi ha impressionato tantissimo, perché è molto raro che una produzione di alto livello, nel gestire una serie pluridecennale, a un certo punto mandi un segnale così netto ai suoi fan di lunga data, e questo segnale è: “andate a farvi f***, vecchi s*** figli di p***!”.
Guerre Stellari ha deluso i suoi fan in maniera molto più sottile, eccedendo nella sua riverenza ipocrita del passato. Qui invece tutta la produzione ha gridato ai fan come la pensa di loro, in modo forte e chiaro: non c'è più bisogno di loro, sono pochi e vecchi e non comprano abbastanza pupazzetti.

Avrei voluto parlare ancora di hyper Light Drifter, ma mi sono lasciato trasportare. Voglio almeno sottoporre alla vostra attenzione questa intervista all'autore, Alex Preston, che parla apertamente della sua malattia.
Quando il protagonista solitario tossisce un spruzzo di pixel insanguinati, lasciando sul terreno una macchiolina di pixel rosa, è difficile non pensare alla sofferenza del suo creatore. Davvero è un gioco speciale.

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11 . 06 . 2016

E3 After

E' già qualche anno che qui a FTR parliamo del declino e della prossima fine dell'E3, ma forse quest'anno la fiera si è superata (in negativo), come espone bene questo video. L'E3 è morta, ma, ahimé, non c'è nessun "viva l'E3" da proclamare perché questo crepuscolo rappresenta, più che la fine di un'era, un momento generico di incertezza per l'intero media dei videogiochi.
Potremmo farla semplice e raccontarci che le fiere non servono e che centellinare tutti i giorni informazioni su Facebook da maggior guadagno. Con un paio di statistiche alla mano non credo sia complicato dimostrare che effettivamente è così, perché l'utenza videoludica si sovrappone abbastanza bene ai nuovi media come Facebook e, soprattutto, si alimenta da sempre delle chiacchiere da bar degli utenti.
La morte degli eventi fisici, però, non riesce a lasciarmi tranquillo perché questa cosa del "Non vediamoci, becchiamoci in rete" manca di tanto contorno che non è solo nostalgia, è anche... metainformazione, roba che ti rimane appiccicata senza che te ne accorgi e che ti serve, quantomeno nel profondo.
Il primo esempio stupido che mi viene in mente è come, già da diversi anni, abbiamo perso contatto con gli esseri umani che lavorano nell'industry. Al di là di aver smesso ormai da un bel pezzo di mitizzare gli sviluppatori e i creatori di videogiochi, oggi non ci sono proprio facce che vengono in mente quando si pensa a un videogame. Facce come anche loghi, team e quant'altro. Stiamo perdendo il senso di chi fa le cose, la filiera.
Vi sembra poca cosa? Prendiamo il cinema o le serie TV, i media più vicini ai videogiochi, vi sembrerebbe possibile seguirli senza tenere conto di chi sono gli attori, i registi, gli sceneggiatori? La scena nerd è piena di gente che ricorda chi ha lavorato a cosa e usualmente glielo rinfaccia appena cerca di lavorare ancora. Nei videogiochi cosa abbiamo? Abbiamo il team che ha fatto COD. E cosa farà domani? Un nuovo COD. Come lo farà? Come quello prima. Questo è il massimo di ragionamento che possiamo fare sull'argomento.
Certo, rimangono alcuni nomi, come per esempio Kojima, che è stato quasi fatto fuori appunto perché era troppo una star e comunque non ha costruito il suo mito alle fiere. In ogni caso dietro ai videogiochi stanno scomparendo le persone. Se volessimo oggi parlare di videogioco come forma d'arte o d'espressione ci sarebbe difficilino, visto che non ci sono più le persone. Non è un caso che ormai di estetica si parla solo nel mondo indie, dove almeno si possono individuare le mani che fanno cose, sebbene anche lì, per colpa principalmente dei team di sviluppo, le cose rimangono sempre e comunque astratte.
Ci sono altre questioni più affascinanti. Per noi italiani si tratterebbe di un'impresa epica, ma immagino che molti adolescenti americani, almeno una volta nella vita, cerchino di organizzarsi un "pellegrinaggio" all'E3, un viaggio per andare lontano da casa, per avere la sensazione di esserci e cose così. Un po' come si va al proprio primo concerto lontano. Una volta l'E3 ripagava un'impresa del genere con cose esclusive, con la possibilità di tornare a casa e raccontare agli amici qualcosa di unico. Parlando di videogiocatori che vogliono considerarsi Veri un'esperienza del genere può essere un punto di svolta ed è una roba che nessuna condivisione su Facebook potrà mai sostituire.
Infine c'è il senso dell'evento, qualcosa che incide sul nostro tempo. Tutto ci viene sbriciolato addosso giorno per giorno tanto da impedirci di definire un prima e un dopo per le cose. Voi sapete dirmi la data precisa del day one di Overwatch? Io non ce la faccio, perché è un giorno in mezzo alle due/tre settimane in cui sono stato invaso da filmati e discussioni a riguardo. Che cosa me ne faccio del day one? Non saprei, ma in qualsiasi altro ambito della mia vita le date sono importanti, i momenti, le svolte, tutti quei paletti con cui serializzamo il flusso delle cose. Come è possibile che per i videogiochi si possa buttare via tutto così?
Forse il problema è che i videogiochi sono nati già nel futuro. Rimasti nell'ombra per anni sono saltati fuori tutti assieme a un certo punto, mentre il resto del mondo lentamente migrava verso le nuove forme di comunicazione. Con questo bel vantaggio ci sta probabilmente mostrando come sarà tutto il resto tra una ventina d'anni. Eppure, da bravo vecchio, per me certe cose non devono innovarsi.

“tu, bella e triste tu / mi dicesti quanto ti lasciai / non si può morire dentro / e morendo me ne andai”

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