Strip
serie
725, 18/07/2015 - Tempestivi
725
18 . 07 . 2015

Dinosauri robot

A quanto pare il caldo post-apocalittico di quest'estate non causa disagi soltanto alle nostre modeste macchine domestiche, ma semina distruzione su vasta scala anche nei data-center in cui lavorano i protagonisti della nostra serie Jobs.
Ma neppure questo inferno di fuoco è esentato dalla Pianificazione a Calendario. L'importante è crederci.

Ci sono ancora parecchi argomenti arretrati di cui discutere su queste pagine, ed ecco che come un prestigiatore che estrae dal cilindro un bianconiglio ve ne vado a presentare uno.
Horizon: Zero Dawn.
Meglio noto come “il gioco con i dinosauri robot”, questo titolo nuovissimo ha già sollevato nelle masse popolari un enorme interesse. Del resto la premessa è irresistibile: l'umanità regredita allo stato preistorico cerca di sopravvivere all'invasione della terra da parte di un intero ecosistema di dinosauri robotici, o robot che imitano dinosauri, o magari sono dinosauri robotici alieni.

Come fa a non sbocciare amore a prima vista con questo gioco? Sono commosso dalla genialità di questa ambientazione, e anche dal coraggio necessario per proporla ora, nell'anno 2015, ignorando una tendenza ormai ventennale a ricercare storie mature, scenari realistici, personaggi credibili.
Questo nuovo Horizon ci riporta invece alla preistoria del videoludo, quando era perfettamente normale avere come protagonista un idraulico italiano che salva principesse da un esercito di tartarughe sputafiamme.
Ecco, io spero con tutto il cuore che questo gioco porti avanti con orgoglio la sua battaglia per la riscoperta dell'ingenuità. Spero che davvero la trama sia tutta lì, guerrieri preistorici contro dinosauri robot, spero che i dinosauri robot non vengano spiegati... nessuna storia delle origini, nessuna giustificazione. Che tristezza, se un videogioco in quest'epoca deve per forza darci una spiegazione plausibile per l'invasione dei dinosauri robot! Insomma, non basta il fatto che i dinosauri robot sono fantastici?
Se questa è l'età matura dell'industria videoludica, io non voglio crescere.

Lo-Rez: arte, storia, web design
18 . 07 . 2015

Farewell

Non sarà, questo, un pezzo su Iwata particolarmente toccante. Non c'è l'ho io, un vero rapporto con Iwata, come personaggio. Quello che ricordo di lui sono i primi Nintendo Direct, quando ero un fan appassionato e assiduo del 3DS. Ricordo quel suo aspetto a tratti bizzarro, che non lo faceva sembrare quasi umano, quella figura dal collo sottilissimo, che dava impressione che la testa gli stesse sospesa sopra. Ho sospettato, a lungo, che anche dal vivo Iwata non fosse Iwata, ma il Mii, con delle texture un pochino più avanzate.

Se pensate che sia irrispettoso parlare così di una persona appena morta, avete capito molto poco sia di FTR che del mondo dei videogame. Quello che sto confessando è che per me Iwata è stato (ed è ancora) un pezzo di Nintendo, inteso nel modo più vasto che si può intendere Nintendo, ovvero non solo un'azienda con prodotti, bilanci in rosso e pubblicità, ma una macchina dei sogni, un motore perennemente premuto contro i limiti della realtà, nel tentativo di farci breccia, nel tentativo di mettere almeno un piede nel sogno. Non voglio dire se Iwata fosse il migliore in questo o il più importante, ma lui era lì, a tenere giù la leva dell'avanti tutta fino in fondo alla corsa, anche quando la realtà sembrava indistruttibile.

Ora che la malattia se l'è portato via e il suo dramma umano è stato esposto possiamo, a ritroso, quasi trovare nel suo stato una delle motivazioni per cui la Nintendo, negli ultimi anni, dopo una delle sue ere più sfolgoranti, si sia trovata ad arrancare. Perché i giapponesi sono così, rimangono al loro posto fino all'ultimo, si tengono fino all'ultimo aggrappati ai loro doveri, ma è ovvio che dentro non sono più gli stessi, si consumano, si stancano, sbagliano. Iwata ha dato tanto a Nintendo, fino all'ultimo, la malattia ha fatto si, probabilmente, che a un certo punto non fosse più abbastanza. Ora però che se ne è andato lascia un tesoro prezioso che può essere la chiave per risalire la china, la sua sconfinata dedizione alla Causa, per piccola e ridicola che fosse.

Il mondo dei videogiochi è un mondo pieno di gloria e miti, ma è molto giovane e non sono molti i morti che può ricordare. Iwata sarà, da oggi, probabilmente uno dei più importanti perché comunque è riuscito in quell'opera che amiamo sempre molto di personalizzare il suo lavoro, metterci la faccia, dimostrare che dietro tante strategie commerciali c'è carne, sangue e un cuore che batte. Paradossalmente se n'è invece andato in un battito di ciglia, quasi in silenzio, in un momento. Come quando inciampi nel cavo dell'alimentazione e la partita finisce di un tratto.

Ma i videogiocatori sanno che la partita non finisce mai veramente, che c'è sempre qualcosa di salvato da qualche parte, qualcosa che sopravvive alla polvere, alle intemperie, al fuoco e all'acqua, ma che soprattutto sopravvive al tempo.

“ Fly me up on a silver wing / Past the black where the sirens sing / Warm me up in a nova's glow / And drop me down to the dream below”

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