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607, 16/03/2013 - Server PvP
607
16 . 03 . 2013

La notte che bruciammo i server

Intanto, nei tetri e gelidi sotterranei del data center, Bob si sta adattando a fatica al suo nuovo mestiere, del tutto ignaro dei melodrammi sentimentali che si stanno svolgendo negli uffici sopra di lui.
Mi rendo conto che la nostra serie Jobs assume sempre più toni da sit-comedy, da quando mesi fa abbiamo iniziato a far convergere tutti i nostri personaggi verso un'occupazione nella stessa azienda. Ma finché non ci spingeremo a fare uso di risate registrate, direi che non ci dobbiamo preoccupare.

Le scorse settimane sia io che Cymon, caso raro, abbiamo avuto qualcosa da dire sul nuovo Tomb Raider. Visto oggi, il Tomb Raider originale appare trash peggio dei video delle Spice Girls, con illustrazioni promozionali di Lara Croft che mi fanno vergognare di essere stato al mondo negli anni '90. Se il paragone è questo, devo dire che a confronto questo nuovissimo Tomb Raider appare un'opera sofisticata, di ottimo gusto. La caratterizzazione di Lara è notevole nelle animazioni, che sono sempre varie e spesso sorprendenti come se lei avesse a tratti una volontà propria, indipendente dal nostro controllo; è notevole anche per come gli abiti e la carne si coprono progressivamente di sporco e lacerazioni, e per dettagli come il suo respiro affannoso non quando corre, che sarebbe scontato, ma anche dopo.
Ma quello che mi ha colpito soprattutto è nelle parti che non sono Lara: lo scenario di questo gioco (che potremmo definire come un Giappone antichissimo e selvaggio) è originalissimo. Soltanto mi sembrano un po' fuori luogo certe situazioni atroci di smembramenti e massacri che ci si aspetterebbe da Dead Space o da un altro titolo horror, non da un gioco di esplorazione e avventura. Senza dubbio Lara non è Indiana Jones, e la storia delle sue origini non è uno spettacolo per tutta la famiglia.

Potrei adesso lanciarmi in una serie di insulti e battute sarcastiche su SimCity, il giocone che doveva spaccare il mondo ed invece si è rotto soltanto lui, lasciando letteralmente milioni di clienti paganti senza il gioco che avevano appena pagato. È successo la stessa identica cosa con Diablo III: se la nuova generazione dei videogiochi davvero pretende che noialtri giocatori siamo costantemente connessi ad internet, almeno queste nuovissime meraviglie dell'Industria potrebbero farci il favore di esserlo anche loro, costantemente connesse.
Ed invece crollano miseramente. Scrivo codice anch'io e posso immaginare che non è banale costruire un'infrastruttura per supportare milioni di giocatori: però se volete i nostri soldi dovete sforzarvi un pochino di più per realizzarla. È quello che Google, Facebook eccetera fanno tutti i santi giorni, piangere lacrime di sangue e sfidare l'abisso della follia per far funzionare software dalla complessità inumana. Se EA, o Blizzard o chiunque altro non ha voglia di spendere così tanto, almeno non venga a chiedere i miei 60 euro. Chi è il ladro adesso, EA? Eh? Eh? Bisogna stare molto calmi.

Lo-Rez: arte, storia, web design
16 . 03 . 2013

Metavideoludica

Anche senza impegnarvi potrei ammorbarvi per ore parlandovi di Kid Icarus: Uprising, che, come vi ho spiegato, ho acquisito settimana scorsa. Kid Icarus è, oggettivamente, la dimostrazione che quando Nintendo decide, semplicemente, di impiegare tutta la sua potenza di fuoco in un prodotto, questo diventa qualcosa di assoluto, di una vastità schiacciante e colossale. E fa parte sempre del modo di essere Nintendo questa bizzarra idea di fare testimoniale e traino di una console moderna un personaggio di cui si sono perse le tracce ai tempi di NES e Gameboy, se non per la sua partecipazione agli Smash Bros.
Quello su cui vorrei concentrarmi oggi, però, per rimanere il più aderente possibile alla filosofia del coniglio e al suo strano modo di ragionare è il modo in cui Kid Icarus: Uprising sia un opera metavideoludica ancor più che videoludica, con una costruzione che butta giù la quarta parete (quella touch) e entra direttamente in contatto col videogiocatore.
La trama del gioco, per quanto ricca di personaggi e di momenti topici, è estremamente lineare: il male, nella forma della consueta Medusa, è tornato a funestare il mondo, e la dea della luce Palutena è costretta a lanciare la controffensiva dei buoni facendo calare Kid Icarus sul campo di battaglia.
Su questa trama, però, si monta un sistema di riferimenti che non si connette col mondo pseudogreco antico (molto pseudo) di Kid Icarus, ma direttamente con l'epoca del NES. Medusa, per esempio, dice di essere scomparsa per 25 anni e sono esattamente 25 gli anni che dividono il gioco 3DS dal suo predecessore NES. Allo stesso modo, quando qualche avversario "storico" di Pit si presenta all'orizzonte, nello schermo di sotto appare la sua pixelosa rappresentazione a 8 bit.
Kid Icarus: Uprising, quindi, finisce con l'essere, soprattutto, una celebrazione del mondo Nintendo, una celebrazione che si insinua in modo subdolo, perché non arriva da dove te la aspetti, ovvero da Mario, ma da un personaggio che ormai le generazioni videoludiche associano a qualcosa di storico a fatica. E' la celebrazione delle radici del videogioco, quell'universo di grumi di colore e suoni sintetici (alcuni riprodotti fedelmente nella versione odierna) ormai pesso nelle nebbie degli anni, che però deve essere ritenuto tutt'oggi credibile, perché animato dallo stesso potere immaginifico dei poligoni tridimensionali di oggi.
Abbiamo parlato settimana scorsa di Lara Croft, un altro personaggio che ha attraversato tranquillamente tre epoche e che, sebbene all'inizio fosse già tridimensionale e non tanto pixeloso, comunque aveva molti meno capelli animati e texture di oggi. Eppure ogni nuovo capitolo di Lara Croft è una negazione del capitolo precedente, un rifiuto di quello che ha rappresentato. Sia perché ogni volta viene affidato a nuove etichette che hanno precisamente lo scopo di combattere il retaggio del personaggio, sia perché la filosofia, in questo caso, è opposta: ci si limita cioè a svuotare e riempire di volta in volta il calice di un brand che non può concedersi basi.
Chi è nel giusto? Nintendo è sfacciatamente tronfia. Possiede l'arroganza giapponese di porsi al centro del mondo e far girare tutte le cose intorno a sé. Ti sbatte in faccia concetti che potresti ignorare cercando di farti credere che saresti tenuto a conoscerli. Se avesse voluto fare di Kid Icarus un genuino recupero storico avrebbe incluso l'originale NES nella confezione o, ancora meglio, l'avrebbe potuto rendere gratuito sull'eShop. Invece il gioco sull'eShop c'è, ma al prezzo di 6 euro...
La filosofia che va per la maggiore altrove, invece, quella di rimasticare le idee per trarne nuovo vantaggio senza porre l'accento sulla storia, è a sua volta un po' vacua. Non si capisce perché tenere in piedi brand perduti e riutilizzarli dopo averli tolti dal loro posto nell'immaginario collettivo. Non si capisce perché Lara Croft e non Susanna Trebbiazilli, non si capisce perché fare un nuovo Syndicate che è un pum-pum o perché fare successo ridando linfa alla serie di U.F.O. e decidere comunque di non sviluppare altri strategici del genere sotto altri nomi.
Certo, all'occhio del coniglio, quel coniglio che l'epoca del NES la ha più o meno vissuta, quello che è stato fatto in Kid Icarus è delizioso ed è un valore aggiunto, inutile negarlo. Ma entrambe gli approcci hanno gambe piuttosto corte, la nostra epoca verrà ricordata nelle cronache per la sua difficoltà di costruire personaggi capaci di entrare nel mito, o meglio, di sopravvivere senza, spesso, porsi il problema di cercarli.

“What I've felt, what I've known / Sick and tired, I stand alone / Could you be there, 'cause I'm the one who waits for you / Or are you unforgiven too?”

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