Strip
serie
496, 08/01/2011 - Digiuno
496
08 . 01 . 2011

Dot art

Il nuovo anno trova Neo dove l'aveva lasciato, chino nel suo cubicolo in ombra, ossessionato come e più di prima. Le celebrazioni del Mondo non l'hanno lasciato insensibile, però, a giudicare dal babbo natale di Norman Rockwell che tiene appeso alla parete.
Da quanto abbiamo detto nelle ultime settimane, si sarà capito che noialtri autori non abbiamo una gran voglia di sottometterci alle tradizioni festive di questo periodo: Cymon si è già ribellato al suo sacro dovere di fare Il Punto della Situazione dell'anno appena trascorso, e io farò soltanto il minimo indispensabile.
Ho già citato alcuni dei giochi che mi sono piaciuti di più nel 2010, i primi che mi sono venuti in mente. Oggi devo fare un'altra classifica, quella dei giochi con l'arte migliore dell'anno. Non voglio annoiare me stesso, né offendere voi, spiegando come l'Arte sia un aspetto dei videogiochi nettamente distinto dalla qualità tecnica della grafica.
Anche la tecnica ha la sua importanza però, e non intendo disprezzare il lavoro di tanti miei pseudo-colleghi che ogni giorno sfidano la follia per domare una disciplina dalla complessità inimmaginabile, inumana e terrificante come la grafica per computer, specie quella ad alte prestazioni che serve nei videogiochi. Ad ogni modo, penso che questa qualità tecnica sia già ampiamente riconosciuta dal giornalismo del nostro settore, e anche il più triste ed ottuso mentecatto che scrive di videogiochi è in grado assegnare dei premi qua e là per la Miglior Grafica. Non intendiamo, qui su FTR, rubare il mestiere agli altri ottusi mentecatti.
Sento invece il bisogno di lodare ancora una volta, da queste pagine, quei titoli che durante l'anno mi hanno affascinato o stupito per la cura non comune nella loro direzione artistica: magari nel gioco in sé questa cura non si è neppure vista, magari si è fermata alla copertina della scatola, o ai wallpaper, o alle illustrazioni promozionali. Fa lo stesso. L'anno scorso il mio compito era molto facile, perché c'era un titolo come Muramasa che era il campione indiscusso. Quest'anno è diverso.
Intanto c'è da capire, come dicevo l'altra volta, di che anno stiamo parlando. Final Fantasy XIII e Gaiden li ho messi nel 2009, ma è pur vero che in Occidente sono usciti nel 2010... a scanso di equivoci, meglio ripeterli: la loro arte rappresenta la vetta assoluta di quel che può esprimere oggi il settore del divertimento elettronico. Sono due titoli diversissimi nello stile, ma li accomuna la cura e la professionalità. E poi voglio dare rilievo a un titolo che sento di avere trascurato ingiustamente: The King of Fighters XIII.
Già l'anno scorso ero ridotto alle lacrime dalla meravigliosa sorpresa di trovare finalmente, dopo 15 anni, un King of Fighters rinnovato in alta risoluzione, ma ancora nel suo splendido 2D pixelloso. Quest'anno è uscito il seguito, che ha raffinato la base di partenza già ottima, aggiungendo nuovi fondali e nuovi personaggi. Una delle critiche più feroci rivolte al XII riguardava infatti il cast dei personaggi, da cui erano clamorosamente assenti alcune celebrità di sesso femminile.
Ebbene, il XIII ha rimediato a questa mancanza, incrementando il fattore F*** a livelli decisamente più accettabili. Il contributo principale, in questo senso, arriva senza dubbio dalla presenza di Mai Shiranui, dotata di un'animazione in loop decisamente ipnotica, capace di distrarre l'avversario (umano) al punto da riequilibrare il suo personaggio, che come potenza complessiva è giudicato piuttosto scarso. Oltre alla mitica Mai ci sono altre stelle della serie storica, in versione più o meno pervertita. King of Fighter XIII rappresenta il trionfo della “Dot Art”, come chiamano in Nippolandia la grafica 2D, ed è un regalo commovente per tutti noi nostalgici.

Per il resto, una carrellata veloce: Assassin's Creed 2 (o Brotherhood se preferite) è il titolo per così dire “moderno” che mi ha affascinato di più anche per l'arte, ma sono stanco di ripeterlo. Red Dead Redemption ha dei fantastici poster in stile spaghetti western. Metal Gear Solid 5 è un miracolo molto più grande della console piccina piccina in cui l'hanno cacciato, e nell'arte promozionale ha confermato tutta la sua grandezza. Infine c'è Starcraft II, caratterizzato dalla solita qualità maniacale di Blizzard, che per talento e disponibilità economica non è seconda a nessuno nei videogiochi occidentali.
Probabilmente sto dimenticando qualcosa, del resto ormai questo piccolo passatempo da ossessionati si è espanso in un'industria colossale, ed è impossibile tener testa alla produzione mondiale. Chissenefrega. Se non me ne ricordo, probabilmente non è così importante.

Lo-Rez: arte, storia, web design
08 . 01 . 2011

I soliti insetti giganti

Per iniziare bene l'anno ho deciso di proporvi il solito receditoriale anime. Le feste mi hanno infatti concesso del tempo per chiudere quello che stavo guardando e ora, come di consueto, vi racconterò come è andata. Accantonata l'opera che andrò ora a analizzare ho poi iniziato qualcosa di malvagio. Ma sono tare che porto dentro di me come maledizioni e so conviverci. Per ora però concentriamoci sul già concluso.
Blue Gender prende le sue mosse pochi anni rispetto alla nostra epoca. L'umanità è in pericolo: i Blue, degli insettoni giganti, hanno preso a infestare la terra. Gli uomini che non sono diventati viscidi boli verdognoli sono fuggiti nello spazio, dove si scervellano su come disinfestare il pianeta.
Se togliete gli insetti vi assicuro che ci troviamo di solito alla consueta Gundamata. Yuji è il bimbo frignone della situazione, ibernato prima che i Blue invadessero la terra a causa di un male incurabile che lo affligge. Viene risvegliato da Marlene, fredda e indurita soldatessa gnocca decisa a portarlo nello spazio per non precisi scopi. Yuji alla fine ovviamente si metterà a combattere gli insettoni a bordo di un robot gigante (non troppo clamoroso però) e ne spargerà la polpa per ogni dove. Perché bisogna dire una cosa dei Blue, parlandone come cattivo di turno. Non avranno il carisma di Char Aznable o di un Athrun Zala, ma quando li prendi a pistolettate scoppiettano di viscere e liquami che è una bellezza (e anche gli umani, a ben guardare).
Blue Gender ha nei Blue l'elemento innovativo e il punto debole della serie. Perché quando parliamo di robot giganti o comunque cartoni di guerra galattica molto spesso troviamo dall'altra parte un esercito di umani (o alieni) tendenzialmente fascistoide senza scrupoli. L'idea della razza di insetti disgustosi (MOLTO, MOLTO disgustosi) pone temi diversi e soprattutto rende i conflitti molto più disperati, però, oggettivamente, priva di carisma il confronto con il nemico. Come dicevo sopra, puoi avere un dialogo lirico e epico con un Char Aznable, più difficile con un essere il cui culmine di comunicabilità è sfregare le antenne.
Anche tutti i nemici più "umani" che i nostri eroi incontreranno sul loro cammino, purtroppo, si scostano realmente poco dai consueti cliché del genere e quindi di certo non raccontano niente di nuovo.
Se vogliamo invece guardare alle cose belle è giusto sottolineare come viene gestito il personaggio di Marlene, che più che essere il sidekick del protagonista e la sua coscienza guerriera, per lunghi tratti è la reale protagonista della serie, innanzitutto per la sua evoluzione interiore piuttosto articolata e anche perché de facto è al centro di scene che, invece, Yuji subisce. Visto che comunque la biondina viene presentata a sua volta in maniera estremamente standardizzata sorprende un po' la parabola che si mette a percorrere.
Un altro aspetto che vorrei far risaltare in questa disanima è il tema del sesso e per motivi assolutamente opposti a quelli consueti. Il sesso nel futuro viene interpretato come qualcosa di piuttosto "facile", a cui si dà poco peso e che rappresenta solo una specie di tentativo di riaffermare la vita in un mondo di morte. Questo però viene esposto senza troppo indugiare sugli atti e senza scadere nella morbosità, giustapposto come un fatto a tante altre usanze dell'umanità del futuro. Anche il filler fan-service di metà serie è incredibilmente delicato e intelligente, senza mostrare nemmeno la silouette di un capezzolo.
Non mi metto a evidenziare tutto ciò per dare idea di essere un maniaco. Sappiamo benissimo che, soprattutto da un punto di vista commerciale, la componente sessuale negli anime ha una sua importanza e una sua identità. Il fatto che qui sia gestito con tanto stile, a mio parere, è degno di nota.
Il mechadesign, altro argomento che sapete tratto sempre di fronte a opere di questo tipo, è in realtà trascurabile. Nonostante questa sia una serie di robottoni i robottoni sono proprio visti solo come mezzi di combattimento e non vi è alcuna enfasi su essi. E' un genere che negli ultimi anni è cresciuto molto, questo, come si sottolineava un po' di tempo fa anche nel forum.
In conclusione (si arriva sempre a un paragrafo "in conclusione") Blue Gender è l'ennesima serie "carina" che non mi rimarrà nel cuore. A parte un finale scontato e floscio con i consueti richiami a Gaia e all'anima mundi di sta ceppa, la tensione che genera è di rapida fruizione e lascia poco. Anche perché non esistono clamorosi colpi di scena o sterzate di trama che non sia ampliamente prevedibili. Di personaggi effettivamente interessanti, che non siano l'eco di personaggi di altre opere, ce ne sono veramente pochi e questo forse è il peccato peggiore. Guardatelo, chissà, potrebbe piacervi, ma non corretegli dietro.
Prima di chiudere una nota per gli amici di Wikipedia. Siete riusciti a raccogliere i soldi di cui avevate bisogno per andare avanti e sono contento per voi. L'avete fatto con un enorme bannerone che immagino fosse molto persuasivo, ma che io non ho mai visto perché, mi spiace, il vostro javascript non è compatibile con Opera. Vi siete adblockati da soli e la cosa non può che farmi sorridere.

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